Fra tutte le notizie che quotidianamente nei media giaponesi si occupano di Nord Corea, nei giorni scorsi si è tornato a parlare del paese e della sua relazione con l’arcipelago anche per il «villaggio giapponese». Era già finito sui media un po’ di tempo fa, conosciuto anche come «villaggio rivoluzionario» si tratta di un complesso di abitazioni dove da più di 40 anni risiedono i sopravvissuti del cosiddetto gruppo Yodo-go (parte della Sekigun-ha), dal nome dell’aereo della Japan Airline che sequestrarono nel marzo del 1970, il primo caso in Giappone, e che venne dirottato prima a Fukuoka e poi a Seoul, dove vennero liberati i passeggeri, per poi concludere il suo «viaggio» a Pyongyang.

La Corea del Nord concesse loro asilo politico ed in un primo momento il paese doveva essere la base da cui liberare il resto dell’Asia e promulgare la rivoluzione, ma diventò, in pratica dal marzo di quello stesso anno, il loro rifugio per un intera vita. Alcuni dei membri del gruppo originale sono stati catturati quando hanno lasciato la Corea del Nord e altri sono morti, mentre molte delle mogli e dei figli sono rimpatriati nell’arcipelago, del gruppo originale ne rimangono così al giorno d’oggi solo sei, quattro uomini e due donne. Il gruppo è stato accusato a più riprese di aver collaborato con il governo nordcoreano nel rapimento di cittadini giapponesi dalle coste nord occidentali nipponiche, persone che una volta portate a forza nella penisola venivano «rieducate» ed usate, nella migliore delle ipotesi, come spie. È questa una delle ragioni principali che continuano ad ancorare i membri del gruppo in Nord Corea, a questa narrazione, che è quella fornita dalle fonti ufficiali dello stato giapponese e dei media mainstream, hanno sempre cercato di controbattere, anche usando i nuovi mezzi resi disponibili dai social media, dapprima aprendo un account Twitter, nel 2014, ed alcune settimane or sono con il lancio di un sito on line (in giapponese). Intitolato semplicemente Yodo-go nihonjin mura, il sito si presenta come un portale di informazione abbastanza semplice, diretto e di facile comprensione, rivolto molto probabilmente alle nuove generazioni di giapponesi che poco o niente sanno dei fatti e della situazione di quel periodo. La home page si apre con una foto quasi bucolica dei sei terroristi/rivoluzionari sopravvissuti in posa sull’erba del giardino di una delle loro abitazioni, con in secondo piano le case e le enormi antenne paraboliche con cui si tengono in contatto con il luogo natio ed il resto del mondo.

Se è abbastanza comprensibile l’esistenza di una sezione di FAQ, dove vengono spiegate le basi, i fatti del 1970, cos’è il gruppo Yodo-go e perché si trovino in Corea del Nord, risposta: perché si considerano ancora oggi degli esiliati politici, più sorprendenti sono i brevi scritti firmati di volta in volta da ognuno dei sei. La decrizione delle attività quotidiane più comuni, dalla preparazione di un piatto giapponese alla raccolta di patate dolci, fino al programma giapponese preferito, sono un punto di partenza per delle riflessioni sul passare del tempo, spesso velate di nostalgia, non dimentichiamo che il più giovane dei sei ha 64 anni mentre il più anziano 73, e talvolta sulla situazione politica internazonale. Benché l’atto stesso di avere un sito internet e di avere una presenza online nell’attuale situazione geopolitica possa sembrare un atto di sfida, il tono generale del progetto sembra più improntato ad una «normalizzazione» delle figure di questi «terroristi», un modo forse per fare breccia nell’opinione pubblica giapponese e un giorno poter far ritorno a casa.

matteo.boscarol@gmail.com