Il libro di Allen Frances, Saving Normal. An Insider’s Revolt Against Out-of-Control Psychiatric Diagnosis, DSM-5, Big Pharma, and the Medicalization of Ordinary Life («Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie», Bollati Boringhieri), ha riaperto la discussione sulla natura delle «malattie mentali».

Si tratta di una vexata quaestio che sembrava superata dal paradigma dominante per cui, nel mainstream accademico, quasi nessuno ormai sostiene che le malattie mentali siano un mito. Si tende ad accettare una concezione «almeno» pragmatica della psicopatologia, per cui torna utile avere una lingua comune che assicuri al paziente una diagnosi più precisa e le cure migliori. Frances, negli ultimi quarant’anni, è stato probabilmente uno dei massimi rappresentanti di questo approccio descrittivo.

L’idea di poter avere un catalogo delle malattie con descrizione dei sintomi e indicazioni prognostiche è stato, da sempre, uno degli obiettivi della medicina, così come della psichiatria. Le scuole psichiatriche spesso usavano un linguaggio dissimile per indicare fenomeni identici. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’esercito americano elaborò una classificazione con scopi pratici che, dopo la guerra, ha costituito l’ossatura della prima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Dsm).

Il Dsm divenne uno dei libri sacri della psichiatria, tentando nel corso delle successive edizioni di descrivere le malattie mentali nei minimi particolari. Il Dsm però è anche cresciuto come un soufflé. La prima edizione del 1952 era di 86 pagine, la quinta edizione del 2013 è di 806 pagine. I disturbi sono «lievitati» fino a portare uno psichiatra ortodosso, come Frances, a scandalizzarsi. Egli che era stato fra i redattori del DSM III e il direttore della sua quarta revisione.

Patologie da vendere

I difensori del Dsm, rilevano a sua discolpa che la quinta edizione utilizza criteri quantitativi (da lieve a grave) proprio per discriminare comportamenti genuinamente patologici. Se per descrivere una sindrome si classificano però comportamenti assai frequenti e normali, si può cadere nell’errore, prestando il fianco a coloro che sono esclusivamente interessati a creare nuovi consumi, in un mercato farmacologico che mostra i segni di una vera e propria bolla speculativa.

Frances dunque accusa se stesso e la psichiatria per aver incluso, nella continua elaborazione dei Dsm, sintomi frequentemente normali entro i confini psicopatologici. L’industria degli psicofarmaci, un colosso che fattura 700 miliardi di dollari all’anno, avrebbe fatto il resto, favorendo l’esplosione di particolari diagnosi come, ad esempio, l’Adhd ovvero il «disturbo da deficit di attenzione/iperattività» del bambino, proprio sfruttando le falle diagnostiche tendenti a medicalizzare la normalità. Di fronte ad uno psicofarmaco smart – come fosse un telefonino – l’Adhd è prevalso sull’idea che il più delle volte una certa agitazione e disattenzione possa essere la spia di una naturale/normale reazione adattiva dei bambini. I farmaci per l’Adhd sono poi stati usati da persone comuni per migliorare le proprie prestazioni cognitive, così come altri farmaci sono serviti a migliorare le prestazioni sessuali. Nel nuovo Dsm, accusa Frances, si introduce proprio un disturbo di Adhd per l’adulto, legittimando di fatto l’uso di farmaci eccitanti che ottimizzano le prestazioni cognitive.

Frances nella parte centrale del volume è veramente molto caustico nel descrivere una situazione di inflazione e di etichettamento psicopatologico, a tratti perturbante. Il lutto ad esempio può essere descritto come un sintomo del Disturbo Depressivo Maggiore e si possono trasformare gli interessi in dipendenze. Gli umani hanno tutti piacevoli «fissazioni» che variano nel corso della vita: la squadra del cuore, le auto, le moto, le collezioni, l’arte, l’orto, il caffè. Internet e i social network sono fra i candidati più seri per essere catalogati fra le nuove dipendenze. Frances rimarca però che la ricerca ripetuta del piacere è un comportamento profondamente umano che diventa patologico solo quando esistono determinate e stringenti condizioni.

Pur non utilizzando mai termini come biocapitalismo o biopolitica, Frances scrive uno dei libri che meglio illustrano come queste nozioni siano assai importanti. Dal suo punto di vista quello che doveva essere uno strumento al servizio del malato si è trasformato nella legittimizzazione della «commercializzazione aggressiva delle diagnosi da parte delle aziende farmaceutiche» che insieme a «luminari senza scrupoli, medici e pazienti creduloni, gruppi di tutela, media, internet e social network», hanno provocato l’inflazione diagnostica, medicalizzando la normalità. Si tratta di accuse pesanti dirette oltre che alle aziende farmaceutiche, anche alla American Psychiatric Association, ai medici di base, agli esperti, e alle associazioni di tutela dei vari tipi di «sofferenti» che se da un canto hanno avuto un effetto positivo nella difesa delle identità di persone considerate «diverse», hanno tuttavia contribuito a far considerare queste diversità come malattie da merchandising (libri e corsi esplicativi del Dsm, ecc…).

Il ritorno alle origini

Nel corso degli ultimi decenni alcuni intellettuali avevano già sollevato con successo questioni biopolitiche in psicopatologia. In Rewriting the Soul (1995), Mad Travellers (1998) e in una miriade di articoli e lezioni, soprattutto Ian Hacking ha prodotto una analisi assai dettagliata della situazione che oggi viene descritta come «novità» da Frances. L’analisi di Hacking è inoltre anche più precisa, sia sotto il profilo storico che teorico. Frances ha scritto, tuttavia, un corposo volume che nasce dalla propria pratica e appare come un manuale per reintrodurre il buon senso nelle scienze mediche e psicologiche. Il suo fine è far ritornare la medicina al suo scopo originario, diffondendo un approccio parsimonioso (choosing wisely). Da ciò consegue che l’autore sente la necessità di una nuova psichiatria che non abbia come obiettivo principale quello di allargare il campo del patologico, ma che si sforzi di comprendere quanto la normalità sia complessa, gestendo la bolla speculativa, prima che esploda. Egli è convinto che la psichiatria contemporanea non rifletta gli scopi per cui è stata fondata e che occupandosi di «governare» con sovrabbondanza di farmaci fenomeni inerenti la normalità, non riesca ad individuare quelle categorie di persone realmente bisognose di un aiuto.

L’augurio è che questa «medicina parsimoniosa» sia nell’interesse dei cittadini, non dissimulando invece una medicina dell’austerità che corregga i danni dell’inflazione con gli eccessi opposti.