La battaglia per il controllo della corte suprema ha un nome: Merrick Garland. Il presidente Obama, durante una lotta politica quasi senza precedenti col senato controllato dai repubblicani che ha promesso di bloccare qualsiasi nomina fatta dal presidente in carica, ha annunciato la propria decisione indicando nel giudice dell’Illinois il sostituto di Scalia, deceduto un mese fa.

«Ho scelto un candidato conosciuto non solo come una delle più acute menti legali americane – ha detto Obama – ma anche come qualcuno che porta nel proprio lavoro decenza, modestia, integrità, imparzialità ed eccellenza».
Da un mese la corte suprema si trova in una situazione di stallo, con 4 giudici democratici e 4 repubblicani, in un periodo storico in cui i due partiti si vedono reciprocamente come il fumo negli occhi e una base fortemente schierata.

Ora la commissione giustizia del senato terrà delle udienze con il candidato e voterà per mandarlo al senato intero; passato lo scoglio della commissione giustizia sarà l’intero senato ad esprimersi sulla scelta di Obama. Il processo di approvazione di un giudice della corte suprema nella storia americana è durato massimo 125 giorni ma per Obama c’è il rischio filibuster repubblicano.

A questa eventualità Obama ha fatto riferimento durante tutto il discorso, appellandosi al senso di responsabilità dei repubblicani che hanno annunciato opposizione in quanto, a loro detta, un presidente uscente non deve eleggere un rappresentante della corte suprema che sopravviverà al suo mandato. «I presidenti non smettono di lavorare nell’ultimo anno del loro mandato – ha detto Obama – né dovrebbe farlo un senatore». Ha poi illustrato la biografia di Garland.

La scelta è stata più che ponderata, Garland è davvero il candidato che potrebbe unificare le due fazioni: proviene da una famiglia umile, è un centrista moderato, 18 anni fa ha lasciato una proficua carriera avviata per tornare a lavorare al meno remunerativo dipartimento di giustizia per il quale ha coordinato le indagini per l’attentato di Oklahoma City, culminate nel 2001 con la condanna a morte dell’esecutore. Merrick Garland è l’attuale presidente della corte d’appello di Washington D. C., dove è entrato nel 1995 in seguito alla nomina di Bill Clinton e di cui è a capo dal 2013. Con la sua nomina Obama sfida il senato a proseguire con un’opposizione che, da una posizione conservatrice, non avrebbe una ragione al mondo di esistere, pochi giorni fa perfino il presidente del senato, il repubblicano Orrin Hatch, si era espresso nei confronti di Garland con parole di stima che dovrebbe smentire se si dovesse opporre alle nomina.

Proponendo il moderato Garland, Obama mette il senato davanti alle proprie responsabilità costituzionali, e i repubblicani si trovano in una trappola: accettando la nomina di Obama sembrerebbero deboli agli occhi di un elettorato che, sostenendo Trump, ha ben mostrato che tipo di leader sta cercando, ma bocciando la nomina di Garland si mostrerebbero irrispettosi della costituzione e irragionevoli a tutto il resto del Paese, elettori repubblicani moderati inclusi,a cui dovrebbero fare appello in caso della famosa convention contestata che a quanto pare il partito sta costruendo.

«La nomina è un mio dovere costituzionale – ha detto il presidente – una responsabilità che ho verso i nostri padri fondatori che scrissero la costituzione duecento anni fa, ma soprattutto verso le generazioni future. Se i senatori repubblicani rifiuteranno sarà il segno che non c’è rispetto per la costituzione e ormai tutto è soggetto a una politica meramente partigiana».

L’annuncio ufficiale è arrivato anche con un tweet della Casa Bianca e con un tweet è terminato, lanciato dall’account governativo @SCOTUSnom «It’s your turn, Senate. #DoYourJob»: è il tuo turno, senato. #FaiIlTuoLavoro. Al momento i repubblicani non sembrano voler collaborare non avendo nemmeno avviato le procedure preliminari per le audizioni, come le indagini di rito dell’Fbi .

La prima dichiarazione è arrivata tramite il senatore repubblicano MitchMcConnell, a capo degli ostruzionisti, che ha sintetizzato così: «È una questione di principio, non di persone».