Lo scultore italiano Francesco Somaini (1926-2005) è stato protagonista di un’importante stagione del dibattito internazionale inerente il possibile ruolo dell’arte nella definizione e fruizione della città contemporanea. Immaginata, a partire dagli anni sessanta, come una moderna metropoli dall’anima futuribile e utopica entro cui – osserverà Giulio Carlo Argan – «il compito dell’artista non è di costruire o ricostruire la città, ma di interpretarla, renderla significante».

Una simile visione scaturisce dalle vicende professionali e personali di Somaini, che nel decennio a cavallo tra il 1967 e il 1976 ha occasione di frequentare ripetutamente New York e i protagonisti della sua scena culturale: ne subisce il fascino, divenuto spinta per avviare proficue ricerche, il cui profondo impatto è oggetto d’indagine, fino al 5 febbraio, della mostra Francesco Somaini. Uno scultore per la città. New York 1967-1976.

Sfinge di Manhattan

Allestita alla Triennale di Milano, curata da Luisa Somaini (figlia dell’artista) ed Enrico Crispolti, la bella esposizione propone al pubblico un percorso che si snoda attraverso sedici sculture, quindici disegni, quattordici fotomontaggi e una video-installazione: proveniente in larga parte dalle raccolte dell’Archivio Somaini, il prezioso materiale è la trasfigurazione iconografica delle riflessioni raccolte dallo stesso Somaini nelle straordinarie pagine del volume Urgenza nella città (1972) e nell’immaginifica serie di opere intitolata Carnificazioni di un’architettura. Enigmatiche sperimentazioni, che alludono all’idea di edificio moderno slanciato in altezze vertiginose, ma saldamente ancorato a radici figurative che affondano nell’antichità: rielaborando alcune delle teorie espresse da Lewis Mumford nel saggio La città della storia (1963), Somaini nota come «il nucleo urbano (metropolitano) storico ha ancora una funzione positiva da svolgere se trasformato nella sostanza e nella forma, se riuscirà a trasformare la sua massa fisica in energia psichica».

Questo lo spirito che anima lavori come Sfinge di Manhattan (1974) e Colosso di New York (1976), così come i fotomontaggi individuati con il nome di «Archisculture». Molte delle straordinarie vedute, realizzate con inchiostri di china su ampi pannelli in carta o come ensemble fotografici, apparentabili al linguaggio di scenografie cinematografiche che paiono prefigurare certe odierne pellicole d’ambientazione catastrofica, fondono tra loro l’ormai stereotipato skyline americano e quelle che appaiono come sagome di antichi borghi medievali, popolati da improvvise figure di matrice artistica. Dunque, provocatori scontri tra forme organiche, plastiche e dinamiche, e rigidi volumi stereometrici, elementi misuratori e di riqualificazione dell’intero tessuto urbano che – deviando dal preponderante e fallimentare modello della città disegnata esclusivamente in funzione dei flussi del traffico veicolare – viene ricondotto alla scala dell’uomo, per superare la profonda crisi endemica affrontata dalla scultura in quegli anni. «Alla scultura – scrive, infatti, Somaini – ormai non resta come futuro che il campo urbano e sociale, e la misura e i modi che ne conseguono». E, ancora, «i limiti della scultura non sono né tecnici né poetici ma sociali e stanno nella fruizione. La decorazione, l’inutilità, lo sradicamento che inquinano tanto operare di noi sono dovuti più che a un’involuzione degli stilemi (stilistiche), alla inutilità che marchia molto del nostro operare».

Fra gli allievi di Manzù

Accompagnano la mostra un ricco catalogo edito da Skira (euro 32,00), con significativi contributi di storici dell’arte e dell’architettura che aprono nuove prospettive d’indagine sulla figura di Somaini, e un dibattito aperto al pubblico, in programma per il 25 gennaio presso il Palazzo dell’Arte. Insieme alla riproposizione di un itinerario milanese, curato dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti, che pur discostandosi dal patinato ambiente americano rende possibile un primo assaggio della concreta e fattiva collaborazione tra lo scultore comasco – cresciuto tra le fila degli allievi di Manzù presso l’Accademia di Belle Arti di Brera – e l’establishment dell’architettura italiana, inaugurata già all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. A cavallo tra la scultura del Grande motivo (1954), fulcro prospettico della composizione spaziale a partire da cui Ico Parisi disegnò il Padiglione di Soggiorno per la X Triennale (oggi sede di una biblioteca rionale dentro il Parco Sempione), e il mosaico pavimentale che abbellisce la straordinaria Galleria Strasburgo, costruita da Luigi Caccia Dominioni e Agostino Agosti ai piedi degli Armigeri neri di Corso Europa (1953-’59) e perfettamente conservata nei suoi caratteri originari.