Si sono conclusi il 17 marzo gli espropri più lunghi, complessi, anomali, militarizzati (e incredibilmente: ignorati) nella storia d’Italia, che peraltro nello stesso giorno ha festeggiato il 160 anniversario di Unità. Iniziate il 22 febbraio, al ritmo di circa 60 proprietari al giorno, queste requisizioni sono state gestite in toto dalla Telt (società di diritto francese, neanche l’ombra di un ufficiale giudiziario, l’Italia «presente» solo come forze dell’ordine a spese dei contribuenti) e riguardavano un’estensione di terreno ridicolmente minima: meno di un km quadrato di terra, che il Movimento NoTav acquistò collettivamente nel luglio del 2012, rievocati qui da Mauro Ravarino. Scontri che sancirono la perdita manu militari dell’amata Val Clarea: prati, boschi, antichi castagni, vigneti della pregiata qualità Avanà, siti archeologici d’inestimabile valore – un intero paesaggio sacrificato al cantiere/cratere del Tav.

L’iniziativa venne lanciata con il titolo Compra un posto in prima fila e aderirono in 1054, replicando il successo delle due campagne di «resistenza comproprietaria» già varate in precedenza in località Colombera e Venaus. Tutte e tre intese come «Barricate di carte» ( bollate): cavilli, controcavilli, verbali, per protrarre all’infinito i ricorsi al Tar, al Consiglio di stato, alla Corte europea dei diritti – come accadrà anche a conclusione di questi recenti espropri, che lungi dall’essere solo mortificanti sono stati «un’occasione per rivedersi tutti dopo anni, e ritrovarci più uniti che mai» come assicura Ezio Bertok, Presidente del controsservatorio Val Susa, che in particolare ha coordinato la risposta alle requisizioni.

Le ben note restrizioni causa-Covid non hanno permesso un reportage, peraltro nonprevisto da altre restrizioni: l’intera area è (rendiamoci conto) «zona militare». E comunque poco male, il diario collettivo che nell’arco di oltre tre settimane è andato crescendo sui vari canali social del Movimento, e in particolare le cronache di Ezio Bertok, bastano a raccontare la temperatura di questo particolarmente momento per un’intera valle e peccato solo non avere più spazio (ma è tutto in rete: notavtorino.org, NoTavInfo su Fb ecc ).

Particolarmente condiviso il post di Nicoletta Dosio, che il 10 marzo concludeva «non può finire così». Infatti, non deve. Ma la cappa di silenzio calata un po’ su tutto non aiuta. Per restare in tema: i primi di marzo la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha ricevuto una petizione di Maria Luisa Boccia (Presidente fondazione per la riforma dello stato) sottoscritta da 200 insigni magistrati, avvocati, personalità della cultura, che chiede una riduzione della pena inflitta a Dana Lauriola ribadendo che «la sua detenzione è una grave ingiustizia sul piano personale e un pesante attacco alla libertà di dissentire da scelte politiche ritenute sbagliate e dannose». E a parte il massiccio passaggio sui social, è finita lì. Nell’Italia che sarebbe una democrazia e ha combattuto per una Costituzione.

E comunque poco male: sempre il 17 marzo, Lauriola ha «celebrato» (si fa per dire) il suo sesto mese di carcere, nel senso che il giorno prima era il suo compleanno. E nel buio del lockdown la notte sopra Le Vallette di Torino si è illuminata dei fuochi d’artificio organizzati dalle compagne (e compagni) che in tutti questi mesi non hanno mai smesso di starle accanto.

Per fare di nuovo il punto su questa storia, il Centro studi Sereno Regis di Torino ha organizzato (23 marzo, ore 17) un evento Facebook dal titolo «Creatività e solidarietà in Valle di Susa», con Enzo Bertok (Controsservatorio Valsusa) e Gianna De Masi (Carovane migranti) in dialogo con Maurizio Del Bufalo (Festival dei diritti umani di Napoli) e con Enzo Ferrara (Presidente Cssr).

Voci dagli espropri
Dalla pagina Fb NoTavInfo, le testimonianze degli espropriati in Val Susa, Cantiere/Cratere, Comune di Chiomonte. Prima settimana, post di Ezio Bertok: «Chissà cosa avranno pensato i due avvocati che assistevano i primi due proprietari NoTav convocati il 22 febbraio per l’esecuzione dell’esproprio del loro terreno. La notte precedente il prefetto di Torino aveva emesso un’ordinanza che vietava l’accesso alla strada che dal centro del paese porta all’ingresso del bunker. I due avvocati si avventurano con i due assistiti nella zona rossa e al varco del recinto vengono accolti da una trentina di carabinieri in tenuta antisommossa, con tanto di lancia-lacrimogeni pronti per l’uso. Mescolati alle truppe in assetto da guerra decine di funzionari della Digos che scrutano, filmano, sforzando di non mostrarsi aggressivi.

A un certo punto il clima diventa surreale: l’ingegnere di Telt responsabile degli espropri accoglie i NoTav & avvocati con gran sorrisi, mancano solo gli abbracci forse a causa delle norme anti-covid. Si va avanti così, con gentilezze elargite a piene mani dagli addetti dell’espropriante mentre gli espropriandi con i legali vengono fatti accomodare su un pulmino sanificato che si avvia verso il cratere/cantiere scortato da auto della polizia. Qualcuno ricorda quella volta nel 2015, quandi ai giudici del Tribunale permanente dei popoli non venne concesso l’onore di addentrarsi fin lì. Infatti nella sentenza in cui vennero riconosciute le non poche violazioni di diritti fondamentali di un’intera comunità, avrebbero poi scritto: «Nella loro visita alla zona, i membri di una delegazione del Tpp sono stati trattati come potenziali delinquenti». Quanto costerà tenere occupati per più di otto ore al giorno, e per oltre tre settimane (gli espropri più lunghi della storia), quel centinaio di marziani occupanti? Le anomalie sono tante, i marziani NoTav le mettono a verbale e le annotano sui loro taccuini. Sanno che c’è barricata e barricata, e questa è l’ennesima, di carta, come tante altre erette in passato».

Qualche giorno dopo, sempre Ezio Bertok: «Le riprese sul set della telenovela-western Espropri al cratere di Chiomonte iniziate il 22 febbraio, sono proseguite stancamente nei giorni successivi. Atmosfera ostentamente tranquilla, la sceneggiatura prevede che tutto fili liscio. Tutti gli attori hanno recitato la loro parte nel docu-film western ma gli indiani di valle si sono impegnati di più e non hanno sbagliato una battuta. Ogni indiano di valle (nativo o adottato) ha rispondeva con educata indifferenza ai salamelecchi dei banditi travestiti da gentleman e passava rapidamente al sopralluogo sul terreno di cui è comproprietario insieme agli altri 1053 fortunati come lui. Iniziava quindi a contestare procedure, simulare stupore (…) passava poi a verificare il numero di alberi, ne controllava il diametro, contava gli arbusti, misurava la distanza tra i paletti, scattava foto ricordo, faceva notare che l’aria del poco bosco rimasto puzzava di gasolio e le foglie erano ricoperte di polvere sottile, che qualche ruscelletto era stato prosciugato, prima di redigere il verbale, fine-procedura, avanti un altro. Questa prima settimana è stata un reciproco scrutarsi e ha già prodotto un grande risultato: è stata l’occasione per chi veniva da fuori, per appurare da vicino la devastazione, constatare lo spreco di risorse per militarizzare il bunker. E ritrovare il calore e l’entusiasmo dei NoTav in prima linea. Il loro sostegno da domani sarà ancora più convinto di prima.

26 febbraio, post di P.F. «Chi si assumerà l’onere di smantellare la Madonnina? A una certa, qualcuno dovrà farlo: non vorrei proprio essere nei suoi panni!»
27 febbraio, post di C.S.
«Nella piazzetta di Chiomonte la tensione si allenta alla vista del gazebo e delle bandiere NoTav. Sarà D. ad accompagnarmi, andremo a piedi tanto c’è tempo. Percorrere quei tornanti verso il fiume e la centrale elettrica, la vista verso le vigne, mi emoziona moltissimo. Da dietro gli sbirri compare un addetto Telt che prende i nostri nomi e ci porta oltre il primo sbarramento con filo spinato, dove ci sono molti più sbirri, furgoni blindati e il banchetto di registrazione. Mettiamo a verbale che il tempo a disposizione è insufficiente per la visita sui nostri terreni. Dopo una curva il Museo archeologico (adibito ora a caserma, ndr) è un tuffo al cuore. Altro sbarramento, ancora sbirri e militari, altri moduli. Poi il varco di accesso al terreno, luogo sacro: betulle, castagni, querce, numerati e classificati prima di essere abbattuti. Mi avvicino alla rete per vedere il buco nella montagna. Il tempo di accorgersi delle primule alla base della Madonnina, e poi usciamo.

1 marzo, post di D.T –
«Prego, signora, salga sui nostri mezzi».
«Ma nemmeno per sogno. Sui vostri mezzi non ci salgo. Chi mi garantisce sanificazione efficace e profonda? Voglio andare a piedi.»
E Telt va in tilt. Tre km a piedi con tanto di scorta. Ma ne è valsa la pena.
2 marzo, post di Ezio Bertok – Il cagnolino non può entrare!
«In questi giorni il clima a Chiomonte è stato decisamente meno rilassato della scorsa settimana e per velocizzare le procedure Telt ha imposto un vincolo di 30 minuti a proprietario per il sopralluogo del terreno. Ieri mattina una signora ha contestato questo vincolo temporale e il massimo è stato raggiunto quando si è avvicinato uno dei proprietari con il cagnolino al guinzaglio.
Telt: Con il cane non può accedere al suo terreno né a piedi, né con il pulmino di Telt.
Proprietario: Perché no?
Telt: Perché è zona militare.

Il proprietario ha chiesto invano di mettere a verbale che «al proprietario, che non intende abbandonare il suo cane, viene negata la possibilità di accedere al suo terreno per effettuare il sopralluogo». Inutile dire che la discussione non è stata né tranquilla né breve, per cui dulcis in fundo si è accumulato un bel ritardo.
La saga continua… (sfilza di cagnolini abbaianti postati tra i commenti, ndr).
7 marzo, post di Fornelli in Lotta: «Aperipranzo a Chiomonte in sostegno ai No Tav che in questi giorni stanno affrontando la campagna di espropri Telt. Sarà un’occasione per informarci e parlare insieme di ciò che sta succedendo oltre che per mandare un po’ In Tilt la Telt! Non dimenticate la mascherina!

10 marzo, post di Nicoletta Dosio: «L’ultimo saluto a un paesaggio che non c’è più. Espropri. Oggi è toccato a me. Mi è pesante ricordare, perché prevalgono la rabbia sorda, il senso di frustrazione. Anche questo dovranno pagare. Centinaia di armati sparsi ovunque. ’In mano nemica’ il ponte sulla Dora, che immette al cancello della centrale. Cancelli e poi ancora cancelli, divise di tutte le fogge, mezzi blindati. In cantiere si entra solo in pulmino, sui terreni oggetto di esproprio si arriva solo scortati. Lì comincia la pena unica, la più vera, ti assalgono i ricordi di una lunga resistenza. Ripenso a una notte di neve improvvisa, trascorsa al riparo della bailatta di cui nulla resta se non labile traccia sul terreno. (…) È questo l’ultimo angolo di un paesaggio che non c’è più, cancellato prima dall’autostrada poi dal cantiere Tav; luoghi difesi metro per metro con dura lotta, avvelenata dai lacrimogeni, travolta a suon di ruspe, manganelli, tribunali. Eppure anche qui, fiduciosa, ignara dei tempi che si preparano, fiorisce la primavera. Le brevi radure sono un tripudio di primule; su betulle, ciliegi, castagni si scorgono le prime gemme. La piccola immagine, davanti a cui pregavano i cattolici della valle, ha un ingenuo, soave volto di fanciulla. E intorno i merli intessono canti d’amore e di speranza. Mentre mi allontano, scortata da tecnici e poliziotti, mi pesa addosso un senso di vile impotenza, come nell’abbandono di una persona cara…. Non può, non deve finire così».

15 marzo, post di Ezio Bertok : « Ancora tre giorni e tireremo il fiato. In queste tre settimane siamo riusciti a constatare una volta di più la devastazione, lo spreco di risorse, la militarizzazione. E una procedura burocratica è diventata mobilitazione. Molti che sono passati dal nostro punto informativo si sono riavvicinati al movimento ed è un bel risultato a prescindere dall’esito che avrà questa barricata di carta. Siamo già al lavoro per catalogare tutte le osservazioni messe a verbale, in vista dei ricorsi. Restiamo inguaribili ottimisti».