La questione è semplice: in Italia ci sono milioni di persone che vorrebbero votare un partito ecologista e non lo trovano anche se c’è e lo conoscono. Parlo dei Verdi, nelle loro varie trasformazioni denominative, tutte vane finora. Alle ultime europee, del 2019, hanno raggranellato il 2,3% in presenza di una forte spinta europea, e se vogliamo anche mondiale, innescata da Greta e dai Friday for Future. La pandemia è arrivata solo dopo, e non ci sono scuse. In tutta Europa i vari partiti «verdi» sono andati a doppia cifra, in Germania sono diventati il secondo partito, in Francia il terzo. Ora in quei due paesi i Gruenen sono in lizza per il cancellierato tedesco e già governano in alcune amministrazioni, in Francia ci sono diversi sindaci del locale partito verde, uno di questi governa Lione. Qui in Italia nessuno dei verdi è sindaco, fosse pure di un paesino. Ritengo questo uno dei misteri maggiori a cui abbia assistito.

Le ragioni possono essere tante. Solitamente in Europa Verde (l’attuale denominazione dei Verdi classici anni ’80) si usa addossare la colpa alla stampa ostile. Naturalmente così non è, li vedo apparire di qua e di là, perfino troppo rispetto alla loro palese inconsistenza numerica e di fatto sociale.

Il mistero è questo: letteralmente milioni di persone vogliono votare per un soggetto partitico ecologista. E non lo fanno. Il simbolo, la presenza, mettono chiunque in condizione di fare la x sulla scheda. Questa x non arriva.
Conosco l’ambiente, di quando in quando faccio domande, ne ricevo in cambio un pugno di mosche ma articolato benissimo e in quantità spropositata. Non so perché ci sia questo fenomeno. Ho le mie idee, tutte passibili di querela, ma anche quelle sono acqua fresca di fronte alla potenza della realtà nuda e selvatica: qui non li votano, sopra le Alpi governano.

Di recente chi osserva sgomento la nullità ecologista nelle istituzioni ha assistito all’ultima follia. In Parlamento si è formato un microgruppo ecologista, Facciamo Eco, la cui front woman è Rossella Muroni. Ex presidente di Legambiente, sì, ma persona stimabile a prescindere, proveniente dal fallimento di LeU. Quando il gruppo si è costituito ha avuto in dono l’utilizzo del simbolo dei Verdi italiani, che in Parlamento non sono. Un gesto carino, che lo stesso Langer avrebbe apprezzato. Qualche giorno fa gli è stato tolto, perché i parlamentari di Facciamo Eco non erano sufficientemente aggressivi nei confronti delle porcherie del Pnrr, a firma del ministro Cingolani.

Posizione comprensibile e perfino condivisibile ma nel più vasto mondo della gente comune è risultato l’ennesimo «scazzo all’interno dei fricchettoni di sinistra ecologisti». Insomma uno scollamento dal sentire collettivo declinato in milioni.

Da qui la necessità che definire urgente è poco: se costoro non sono capaci di dare voce a milioni di persone con uno sguardo strategico o anche solo tattico (si vota nel 2023), facessero la cortesia di ritirarsi a vita privata e diano spazio a un partito ecologista nuovo. Senza le vecchie presenze è probabile che riusciremo a votare, con i vecchi minuetti non possiamo riagganciare un sentire comune, e mondiale.