Presidente targato Nazareno cercasi. Il tempo stringe, la strada è impervia. Urge spicciarsi. Ma il casellario è scarno, le controindicazioni prevalgono. Si potrebbe tirare fuori dalla naftalina un paio di ex popolari, Sergio Mattarella, nome importante, Pierluigi Castagnetti, un benemerito. Ma erano antiberlusconiani fino al midollo, e Silvio per certe cose ha la memoria lunga e la diffidenza desta. Poi va bene che gli ex Ds sono destinati a portare acqua a Renzi, ma insomma, proprio far occupare tutto l’occupabile agli ex popolari potrebbe suonare male.

Ma tra i Pd, chi scegliere? Anna Finocchiaro è sempre stata tra i candidati in pectore, quelli veri, quelli di cui meno si parla meglio è. E’ donna, è autorevole (presidente commissione Affari costituzionali del Senato, per anni capogruppo e prima ancora ministra), viene dalla vecchia guardia e non è renziana: un figurone e un nome difficile da bocciare per i ribelli del Pd. Ma è anche una che ha già dimostrato al nuovo capo di intendere al volo i nuovi equilibri: affidabile. Ha già iniziato a muoversi con la dovuta discrezione. Ha chiesto di incontrare Berlusconi. I forzisti beninformati assicurano che l’incontro c’è anche stato. Di certo Berlusconi ha iniziato a sondare i suoi, fedelissimi e frondisti: «Che ne dite?». I pollici versi sono parecchi, la signora è pur sempre una ex magistrata. Farla accettare ai ribelli azzurri non sarebbe facile.

Poi c’è Walter Veltroni: chi meglio di lui, padre del Pd e del bipartitismo di cui Matteo l’erede s’è infatuato. Un altro della vecchia guardia: vedete che non si rottama tutto? Era, con Amato, uno dei due nomi su cui puntava Berlusconi fino a pochi mesi fa, potrebbe esserlo ancora. «Walterino» non avrebbe la strada spianata, questo no, ma neppure sbarrata, non fosse per quell’inchiesta romana che certo non lo tira in mezzo, però pur se non penalmente lo lambisce eccome. Luca Odevaine non è piovuto dal cielo: era il suo capo della segreteria. Ed è con la sua amministrazione che la «29 giugno» ha spiccato il volo. Da 550 mila euro incamerati con l’amministrazione Rutelli a circa 7 milioni. Certo, con Alemanno le cose sono andate meglio, i milioni sono diventati 19. Ma è con il predecessore che la cooperativa aveva rotto gli argini.

Ma questi, in fondo, sono particolari. Il vero ostacolo è che si tratterebbe, in entrambi i casi, di presidenti insediati al solo fine di blindare il patto Renzi-Berlusconi, invisi dunque a chi quel patto lo teme. E’ quello lo scontro che si profila. Partirà ancora prima che re Giorgio faccia le valigie, con la legge elettorale. Berlusconi ha deciso di fidarsi di Verdini e accettare la garanzia di Renzi: Italicum in vigore a metà 2016 e forse oltre. Ma per sbaraccare quella barricata basterebbe un decreto. La fronda preferirebbe di gran lunga tornare alla formula di Calderoli, nuova legge in vigore dopo l’abolizione del Senato. Cioè dopo i referendum confermativi. Ci proveranno ma il pezzo forte è un altro: i capilista bloccati, cioè mezza Camera nominata. Su quel fronte, il blocco tra i ribelli «rossi» e quelli azzurri è già saldo. Questo l’antipasto di gennaio. Poi si passerà al Colle. In una partita che però non sarà a due. L’Europa, per interposto Napolitano, dirà la sua, con in campo candidati invisi tanto al fronte Renzi-Berlusconi quanto a quello opposto. Tecnici e tali da garantire non il Nazareno ma Bruxelles. Come Draghi o Padoan.