La petroliera Etienne è ferma davanti alle coste maltesi dal 5 agosto scorso, quando ha tratto in salvo 27 persone. Il governo di La Valletta rifiuta di autorizzare lo sbarco. La compagnia danese Maersk, proprietaria della nave e tra i più grandi armatori mondiali, ha scelto per 29 giorni di non parlare con la stampa confidando nelle autorità. Ieri ha cambiato idea e Tommy Thomassen, il direttore tecnico, ha risposto alle domande del manifesto.

Avete interrotto il silenzio stampa solo adesso: perché?

Abbiamo provato a risolvere la situazione confrontandoci con qualsiasi livello politico e istituzionale rilevante, direttamente o attraverso l’associazione marittima danese. Abbiamo raccolto buone intenzioni e tanta simpatia ma non c’è ancora nessuna soluzione. Non c’è una data. La situazione a bordo è molto difficile. La nave non è fatta per accogliere tanti passeggeri. La tensione è enorme. Vogliamo gridare la nostra richiesta di aiuto a tutte le istituzioni competenti.

Cosa sta succedendo a bordo?

Abbiamo salvato i naufraghi quasi un mese fa. Il capitano e l’equipaggio hanno fornito tutta l’assistenza possibile, condiviso tutto ciò che avevano: cibo, vestiti, acqua. Ma la nave è una petroliera. Oltre alle 21 persone dell’equipaggio non può ospitarne altre. Ora ce ne sono più del doppio. Abbiamo arrangiato un’area per sistemarle, su un ponte e sotto. Ma è passato troppo tempo. Il tempo è un fattore decisivo. Ci siamo già trovati in situazioni analoghe. La compagnia che rappresento ha sempre fatto il suo dovere: noi non facciamo affogare le persone. Però pensavamo che la situazione si sarebbe risolta in pochi giorni. Mai avremmo creduto di restare un mese così. Siamo molto preoccupati. L’equipaggio non è abituato ad avere a bordo tante persone persone. In numero maggiore degli stessi marinai. Tutti sono sotto pressione. Che facciamo se i migranti si fanno male da soli o a causa della situazione se la prendono con lo staff?

Ci sono segnali negativi?

Parliamo con loro tutti i giorni. Recentemente un ragazzo ha espresso molta frustrazione dicendo che sta pensando di buttarsi in acqua, per provare a sbloccare lo stallo. Sanno che non ci sono soluzioni in vista. È davvero ingiusto mettere il nostro equipaggio in questa situazione. Sono degli eroi: hanno salvato 27 persone, hanno fatto il loro dovere. Non è possibile trattarli così.

Fonti del governo maltese sostengono di non aver coordinato l’operazione di salvataggio. È vero?

Non posso parlare a nome delle autorità maltesi, ma noi siamo stati chiamati per svolgere quest’operazione dal centro di coordinamento del soccorso marittimo di La Valletta. E abbiamo risposto. Noi abbiamo fatto il nostro dovere, adesso tocca alle autorità competenti.

Lunedì scorso un portavoce della Commissione europea ha detto che stanno lavorando per la redistribuzione dei 27. Ne avete avuto comunicazione?

Abbiamo avuto tante interlocuzioni dirette e indirette. Abbiamo parlato con i governi maltese, danese e tunisino. Al parlamento europeo è stata fatta una raccolta firme a nostro sostegno. Abbiamo fatto pressione attraverso canali diplomatici e con l’Unhcr. Ma non è successo ancora niente. Il tempo sta finendo e rischiamo che accada qualcosa di brutto. Per noi non è importante che la soluzione venga dai governi nazionali o dalle istituzioni europee. Vogliamo solo che le 27 persone sbarchino.

Come vi sentite dopo un mese in questa situazione?

Dal dialogo costante con il capitano dico: frustrati. Abbiamo salvato delle persone, abbiamo rispettato gli obblighi che derivano dal diritto internazionale, ma è davvero frustrante che nessuno riesca a trovare una soluzione. È chiaro che spetta alle autorità risolvere casi come questo. È inaccettabile quello che ci è successo. Non si era mai vista una cosa simile per un mese intero.

Rifareste tutto?

Salveremo sempre le persone. Ve lo assicuro. È quello che deve fare ogni compagnia navale dignitosa. Lo abbiamo fatto per 100 anni e continueremo a farlo per altri 100. Questa vicenda non cambierà i nostri valori e principi. Ma adesso ci aspettiamo che anche le autorità compiano il loro dovere. Come abbiamo fatto noi.