Ogni natura è acculturata: ogni naturale è costruzione, teatro e messa in scena. Viviamo in un mondo in cui ogni spazio è stato trasformato dall’uomo: le oasi naturali non sono che zoo buoni per praticare l’antica religione del dialogo fra uomo e natura, dialogo che diventa rapporto dell’anziano col suo piccolo orto o gita in campagna e picnic di rigore. Il nostro ritorno al naturale diventa il più delle volte scoperta di un cibo, di un luogo o di uno spazio dove si tornerebbe a un «originario» perduto, originario che fa la fortuna delle trattorie fuori porta. Ecco, queste sono le mitologie che viviamo, nonché le convenzioni che la pubblicità non manca di coltivare: il noto attore che, improbabilmente, confeziona e degusta biscotti fatti a mano nel piccolo forno di casa; o la passeggiata di quello che salta le staccionate (mai visto farlo così bene nella realtà); o gli alberi semoventi di un racconto di mele. Non serve continuare.

Serve invece cercare di capire come si educano al naturale e al suo mito i bambini. La funzione delle illustrazioni è importante per ciò che possono trasmettere. Certo, esiste un alto livello delle illustrazioni che può essere proposto e trasmesso anche all’infanzia; ma sarebbe sbagliato non ricordare che un bambino quelle immagini le sa decrittare solo in parte, che per capire la tensione di Matisse o il dramma degli espressionisti ci vuole una conoscenza storica dei linguaggi (le opere degli artisti propongono «parole» figurate e «frasi» complesse che si comprendono nel tempo).
Ma restiamo al come si educano i ragazzi al naturale, al paesaggio, alla scrittura, e come si educano alla comprensione delle immagini. La mancanza, agli inizi, di una costrizione accademica preventiva rende la creazione grafica dei ragazzi molto più agevole, e questa – dalla Montessori o da Carl Gustav Jung in poi – non è certo una novità. Ma forse c’è qualcosa di più.
I bambini sono educati a leggere il mondo delle piante e degli animali che viene loro raccontato: un tempo erano le storie edulcorate di Walt Disney; adesso le immagini tendono a formare una consapevolezza diversa, a determinare il rispetto consapevole dello spazio, dei luoghi e dell’ambiente.

Le grafie, le scritture e gli stili attraverso i quali questa consapevolezza viene trasmessa sono diversi, rimane il fatto però che la letteratura e l’immagine per l’infanzia oggi propongono testi e figure di una ricchezza un tempo neppure immaginabile. Ricordo quando ho cominciato a conservare le immagini che illustravano Pinocchio, o quelle di Cuore, perché pensavo di ricavarne una storia dell’illustrazione fra ’800 e ’900: ebbene, adesso seguire la ricchezza della produzione letteraria rivolta all’infanzia e coglierne qualità e capacità inventiva pone ancora una volta il problema della rappresentazione, della messa in scena.

Il racconto di una natura certo figurata in termini affascinanti, reinventata nel segno del loisir: una natura dentro la quale entrare con prudenza e rispetto; una natura che è figura, convenzione e sogno; una natura da vivere consapevoli che tutto è scena, mito e frammento di un mosaico che appare e scompare con la rapidità di uno spot televisivo. Eppure il naturale, quello perduto, è lentezza, durata e meditazione.

Così, oggi la scuola ha un compito: educare a convivere con un naturale in costante trasformazione. E noi, visitando questa mostra, che vuole solo esemplificare una situazione del dipingere o del fotografare e i loro diversi modelli, noi possiamo suggerire a chi guarda l’esistenza delle diverse ideologie e delle diverse politiche che caricano di senso le immagini: a ben vedere, infatti, questo che ho cercato di raccontare per exempla è un teatro «politico» – il teatro politico del naturale e delle sue irrinunciabili mitologie.