Cercare un’idea che nel suo sviluppo diventi il concetto su cui far nascere un’opera, è materia pratica, così come lo è camminare. È un percorso tracciabile anche su una mappa, in cui sono puntuali partenza ed arrivo. Al momento della partenza non si sa ancora quale potrà essere il punto di arrivo, sarà proprio il percorso, nel suo incedere, a determinare il traguardo. Il disegno è per me l’atto iniziale, mi consente di visualizzare l’idea, di inserirla nel contesto in cui poi prenderà forma come opera.
Guardando a ritroso sui miei appunti, vedo che la mappa tracciata per la ricerca di Stilleven si è spostata nel tempo e nello spazio, in luoghi e concetti davvero remoti tra loro, all’apparenza dissonanti, ma con dei punti comuni che, sommati tra loro, hanno riportato a galla un’immagine vicina. La «matrice terra» è il filo unificante le diverse suggestioni che ho raccolto in questi mesi: schizzi, appunti, testi, storie, luoghi e citazioni si sono mescolate una con l’altra, dalla storia della matrioska inventata dal facoltoso collezionista russo Mamontov alla Venere di Willendorf, dall’affresco di Paolo Uccello Il diluvio e la recessione delle acque (1447-1448) sino all’immagine del deposito sotterraneo globale dei semi di Svalbarn, nell’arcipelago artico, una banca di sementi costruita per assicurare la sopravvivenza botanica del patrimonio genetico. Questo gioco di sovrapposizioni e slittamenti ha fatto riaffiorare alla mia memoria una fotografia che ho scattato nel 1993, nella cascina dove mio padre viveva da bambino, raffigurante una sorta di «installazione involontaria» nella quale centinaia di pannocchie di mais erano stese ad asciugare sul pavimento della stanza. L’opera concepita per la Biennale, dal titolo Stilleven / Natura in posa (2015), è un reenactment di questa fotografia, un’installazione che, con la sua stessa presenza, ricrea uno spaccato di vita autentico del paese, l’Italia contadina in cui i frutti del lavoro si custodivano tra le pareti di casa come il più prezioso dei tesori. Una cultura a me prossima, una «storia minore» che riesce però a riferirsi ad un contesto più ampio, sia attraverso le tematiche a cui l’opera dà corpo – l’agricoltura, la terra, il suo sfruttamento e l’autosostentamento – sia grazie alla ripresa di un genere artistico come la natura morta, di cui mi sono riappropriata, ribaltandone consuetudini e leggi interne.
Stilleven è anche un dispositivo di visione, un’installazione che pone il punto di vista sul circostante come elemento centrale dell’opera. La riflessione sulla percezione, sullo sguardo ulteriore offerto dalla mediazione fotografica, è una ricorrenza del mio lavoro sin dagli esordi: in Stilleven ho cercato di materializzare un’immagine che potesse contenere tutto il percorso che mi ha portato alla sua realizzazione, una memoria personale che nel momento della sua rappresentazione potesse farsi collettiva, dando effettivamente vita a plurali e diversificate letture.

L’artista (Alessandria, 1972), invitata nella mostra al padiglione Italia, vive e lavora a Torino. La sua ricerca artistica tocca i temi del desiderio, dell’intimità, della memoria, della perdita. Nelle sue opere, rielabora fonti scientifiche, spunti letterari o fatti di cronaca.