La sinistra non dovrebbe limitarsi a criticare l’austerità suicida imposta dall’Unione europea.
Sembra che molta parte della sinistra abbia rinunciato a una critica radicale aprendo così uno spazio enorme alla destra antidemocratica e ai populismi sciovinistici e localistici di destra e di sinistra che acquistano un crescente consenso di massa. La mia tesi è che l’austerità imposta ai paesi dell’euro non deriva dalla “cattiva Merkel” ma discende dalla natura stessa dell’Unione e dai Trattati europei che, sottoscritti dai paesi membri dell’eurozona (ma dettati dal governo tedesco), impediscono di cambiare l’attuale rovinosa politica economica in Europa. Senza rivedere radicalmente i trattati costitutivi dell’euro e della Ue l’agonia dell’Europa è destinata a proseguire.

Per esempio il Trattato di Maastricht stabilisce che la Bce sia creata a immagine e somiglianza della tedesca Bundesbank, cioè che sia indipendente da qualsiasi organismo democratico, e che debba perseguire una politica monetaria secondo i criteri deflazionistici del più rigido monetarismo di stampo liberista. Il trattato di Maastricht – e gli ancora più rigidi trattati successivi come il Six Pack e il Two Pack, il Trattato di stabilità e crescita (fiscal compact) – definiscono in maniera rigida e automatica come ridurre i debiti pubblici ed eliminare i deficit, cioè come affondare qualsiasi politica keynesiana necessaria per uscire dalla crisi, e stabiliscono anche sanzioni semiautomatiche ai governi trasgressori. Il problema è che non è possibile modificarli senza l’unanimità dei 28 governi europei, e soprattutto senza il consenso dei partiti di centrosinistra che governano la Germania. Ma proprio il governo e il sistema finanziario tedesco sono i principali beneficiari della crisi in cui sono caduti i paesi del sud Europa. Ed è ormai chiaro a tutti che Berlino non cambierà linea. Accade così che le riforme in senso solidale ed europeista della Ue (o anche solo le flessibilità richieste con illusoria insistenza da Matteo Renzi) costituiscano un’impresa impossibile. E gran parte delle tasse dei cittadini italiani servono sostanzialmente per ripagare il debito pubblico contratto con le banche del nord Europa.Si pone quindi il problema di come uscire da questa trappola.

I risultati della politica monetaria europea sono stati disastrosi per tutti i paesi del sud Europa, e in particolare per l’Italia. Neppure durante la Seconda Guerra Mondiale si è verificata una caduta del Pil come in questa crisi. L’economia italiana vale oggi come nei primi anni ’90, la disoccupazione e la deindustrializzazione avanzano, la miseria riguarda ormai il 10 % della popolazione, lavoratori, ceti medi, giovani e sud Italia sono allo stremo. Le diseguaglianze aumentano. Emiliano Brancaccio ha spiegato che l’unione monetaria amplifica gli squilibri e impone la meridionalizzazione dei paesi del sud Europa. Le prospettive sono ancora peggiori a causa dei vincoli perfino più rigidi imposti dal fiscal compact. Keynes insegna che quando i consumi e gli investimenti privati diminuiscono occorre rilanciare gli investimenti pubblici e aumentare temporaneamente i deficit. Invece continuando così è certo che non ci sarà luce in fondo al tunnel.

La causa di questo disastro non risiede solo nella crisi finanziaria che ha colpito duramente tutti i paesi capitalistici occidentali a partire dal 2007: gli Stati uniti, Giappone e la Gran Bretagna (ma anche Svezia, Polonia e Danimarca, fuori dall’euro) si sono in gran parte ripresi e stanno assai meglio di noi perché, essendo padroni della loro moneta, hanno potuto avviare una politica monetaria e fiscale almeno in parte espansiva. L’Unione europea fondata sulla moneta unica si è dimostrata invece una gabbia sempre più stretta ed è il grande malato dell’economia mondiale.

Recentemente Mario Draghi, di fronte all’insuccesso della politica della sua Bce – che per statuto dovrebbe garantire un’inflazione appena sotto al 2% mentre in Europa c’è invece una brutta deflazione – ha suggerito che la Ue diriga direttamente nei singoli paesi europei i processi di riforme strutturali tesi a renderli più competitivi, riducendo il welfare (pensioni, sanità, ecc), comprimendo i salari, privatizzando i servizi pubblici e aumentando le esportazioni. Con l’unione bancaria la Bce acquisterà un potere ancora maggiore; e già oggi la Commissione Ue e la Bce (organi non eletti) vagliano i bilanci pubblici degli stati europei prima della loro approvazione da parte dei Parlamenti nazionali. Con la proposta di Draghi il dominio della Ue e della Bce sulle economie nazionali sarebbe completo, un vero e proprio sequestro di sovranità da parte di organismi nominati dai governi. In questo contesto la democrazia e i diritti arretrano. L’Unione europea è direttamente responsabile delle stragi disumane di migliaia di immigrati che tentano di raggiungere l’Europa in cerca di lavoro, pace e libertà. E in questo clima internazionale di «Terza guerra mondiale combattuta a pezzi», come dice Papa Francesco, la Ue rischia di diventare una succursale della Nato.

L’eliminazione del Senato elettivo da parte del governo Renzi riguarda proprio i processi autoritari di concentrazione del potere di fronte alla crisi sociale e ai conflitti che ne derivano. E questa situazione non può certo essere modificata dal Parlamento europeo privo di potere in campo economico – non può neppure eliminare i paradisi fiscali che prosperano dentro l’Europa – e debolissimo sulle altre questioni politiche. Sono i governi, e quello tedesco in particolare, a dominare.

Si pone allora in maniera drammatica una questione nazionale di democrazia e di sovranità sulla politica economica. La sinistra sindacale e politica dovrebbe riconoscere che dalla crisi non si esce con questa Ue e che per rifondare l’Europa occorre rifiutare questa Unione, andando oltre Keynes.

È straordinario come la sinistra che pure dovrebbe avere i migliori riferimenti teorici nel campo decisivo dell’economia grazie all’analisi di Marx sulle crisi finanziarie, alle analisi sul predominio del capitalismo finanziario di Rudolf Hilferding, agli studi sul colonialismo e sull’imperialismo economico degli stati più ricchi rispetto a quelli più deboli, non riesca a dibattere a fondo sulla natura di classe dell’Unione europea e della Bce. Andrebbe recuperato un pensiero critico e originale per quanto riguarda l’Europa. La sinistra sembra ipnotizzata da un’idea europeista che non trova più alcun riscontro nella realtà di questa Unione dominata dal capitale finanziario del Nord Europa.

Eppure i migliori studiosi della sinistra, come Augusto Graziani, Susan Strange, Eric Hobsbawn, ci hanno avvertito che l’euro non poteva unire l’Europa e che l’Unione tra i governi europei non poteva realizzare la democrazia. Il maggiore politologo americano, Robert Dahl, aveva già spiegato che gli organismi internazionali sono spesso indispensabili per la cooperazione tra gli stati ma che, essendo intergovernativi, per loro natura non sono mai democratici. Se la sinistra resta attaccata alle sue illusioni aristocratiche, le proteste popolari saranno sfruttate dalla peggiore destra e dal populismo inconcludente. Diventerà allora impossibile rifondare una Europa dei popoli.