La questione intorno alla “mutazione genetica” (e anche antropologica) della base del Pd, di cui tanto si discute oggi, mi ha riportato alla mente, per un’associazione indiretta, la lunga querelle che si sviluppò (e tutt’ora ancora imperversa) a partire dalla pubblicazione di quel capolavoro scientifico che è L’Origine della Specie (1859) di Charles Darwin.

Nella sua nota (e sempre avversata, soprattutto negli Stati uniti dove ancora prevale il “creazionismo”) teoria sull’evoluzione della specie, Darwin si è sempre sforzato di negare che il progresso caratterizzi la storia della vita nel suo insieme o anche solo che esista come tendenza generale a regolare il suo flusso. La teoria alla base della selezione naturale, infatti, non fa nessuna affermazione sul progresso in generale, mentre la vulgata darwiniana che ne è conseguita ancora oggi pone il progresso al centro della teoria evoluzionistica. S.J. Gould (scomparso qualche anno fa), paleontologo e uno dei più brillanti interpreti e divulgatori della teoria di Darwin, sosteneva che l’equivoco tra progresso e selezione naturale risalisse al clima culturale e sociale dell’Inghilterra vittoriana nel quale la parola evoluzione fu scambiata con quella che Darwin aveva chiamato «discendenza con modificazioni». Il Termine “evoluzione” del resto non campare mai nella prima edizione dell’Origine della Specie e, afferma Gould, Darwin lo usò per la prima volta nell’Origine dell’uomo del 1871. Questo termine – evoluzione – era stato introdotto da Herbert Spencer e in inglese significava letteralmente «l’aprirsi a qualcosa». A Darwin il termine evoluzione non piaceva affatto ma da buon conservatore – ricco nobiluomo di campagna, quale era nello stile di vita pubblica (a differenza del suo radicalismo in quella scientifica) – accettò il termine in quanto era ormai di uso comune, pur affermando decisamente il suo non-progressismo: «Dopo attente riflessioni» – scrisse in una lettera al paleontologo Alpheus Hyatt -, «non posso negare la mia convinzione che non esista una tendenza innata allo sviluppo progressivo» (1872).

Al contrario di quanto da molti sostenuto (Marx compreso), la teoria di Darwin era piuttosto una teoria contro il progresso: «I meccanismi fondamentali della selezione naturale producono solo adattamenti naturali non un progresso generale». Spiegare come mai una teoria che sostanzialmente nega il progresso come motore della storia evolutiva naturale sia stata successivamente interpretata come una teoria del progresso continuo è cosa lunga da dire in poche righe. Semplificando, la teoria di Darwin sostiene che nella lotta per la sopravvivenza è l’organismo più adatto ad avere la meglio. Questo termine – più adatto – va letto nel suo significato strettamente tecnico e scientifico e sta ad indicare l’organismo che è più in grado di sopravvivere ai cambiamenti ambientali prodotti dalla natura, punto.

L’evoluzione culturale è cosa diversa da quella naturale (è lamarckiana) nel senso che i cambiamenti culturali possono essere trasmessi direttamente da una generazione all’altra e dunque sono cumulativi. Per fare l’esempio di Gould, se invento la prima ruota, la mia invenzione non è condannata all’oblio a causa dell’impossibilità di trasmetterla per via ereditaria (come invece avviene per qualsiasi miglioramento fisico negli animali così come nel mondo vegetale). Posso invece insegnare ai miei figli come fare altre ruote, ovvero tramite il ricorso a quella parola che chiamiamo “educazione”.

Questo significa che, in ambito culturale, non è detto (come invece avviene in quello naturale) che le idee che sopravvivono sono quelle più adatte. Anzi, sosteneva Gregory Bateson, le idee sbagliate hanno spesso la meglio su quelle complesse e articolate (basta pensare alle guerre ricorrenti, solo per fare un esempio, o alla diffusione del razzismo): «Pare che esista una sorta di legge di Gresham», affermava Bateson, «dell’evoluzione culturale, secondo la quale le idee ultrasemplificate finiscono sempre con lo spodestare quelle più elaborate, e ciò che è volgare e spregevole finisce sempre con lo spodestare la bellezza» (La frase conclusiva di questa espressione era: «Ciò nonostante la bellezza perdura»). In ambito culturale, infatti, non c’è un altrettanto ferreo meccanismo come in quello naturale, in grado di selezione ciò che è più adatto. Idee o presupposti falsi o sbagliati possono avere, per motivi storici, sociali, culturali o contingenti, la stessa capacità di sopravvivenza di quelle giusti e spesso anche maggiore capacità.

Tutto questo per dire che la mutazione politica e antropologica del Pd, ovvero il suo successo politico (quello del 40% per dirla alla Renzi) sta a testimoniare, per usare la metafora darwiniana, che il “nuovo” Pd, ovvero il PD-R, è certamente più adatto a sopravvivere nel nuovo mutato ordine della geopolitica italiana ed europea (inutile negare il suo successo elettorale) e tuttavia, per quanto sopra detto, questa sua adattabilità non è certo prova della sua bontà o lucidità politica come superficiali osservatori dichiarano. Direbbe Darwin: è solo il più adatto. Scambiare il migliore con il più adatto è un vecchio cascame dell’interpretazione della teoria di Darwin. Per confutarla Gould affermava: sapete quale è la specie più adatta che abita il pianeta? Sono i batteri in quanto specie più numerosa. I quali, notoriamente, non sono né simpatici né intelligenti. Sono semplicemente i più adatti. Perché poi le idee del PD-R siano le più adatte ad avere successo è una storia tutta ancora da scrivere ma che faremmo bene a capire al più presto – raccogliendo l’appello lanciato da Norma Rangeri – se non vogliamo fare la fine dei dinosauri, i quali dopo aver dominato in maniera incontrastata il pianeta per 160 milioni di anni, diventarono ecologicamente insostenibili e si estinsero lasciando il campo incontrastato ad altri viventi più adatti.