Sul piano della musica Cuba per tutta una parte del Novecento è un caso eccezionale, quello di un’isola di una decina di milioni di abitanti che fa a più riprese tendenza ben al di là della propria area: l’enorme importanza del son e del bolero in America Latina; la penetrazione della musica cubana negli Usa, fin dal successo di un hit come El Manisero; l’incontro negli anni Quaranta della musica cubana con il jazz più avanzato, da cui poi conseguenze come latin jazz e salsa; la fascinazione per la musica cubana in Africa occidentale; le mode internazionali del mambo e del cha cha cha negli anni Cinquanta.

Poi con la Rivoluzione e la rottura dei rapporti con gli Stati Uniti la vocazione di Cuba di influenzare gli scenari musicali subisce un drastico stop, mentre d’altro canto, per oggettivo isolamento e/o per scelta ideologica, la sua possibilità di ricevere suggestioni da fuori ne esce fortemente penalizzata. Intanto nei primi anni alcuni protagonisti di rilievo (Celia Cruz, Sonora Matancera, La Lupe, Israel Cachao Lopez) scelgono l’esilio. Cuba però si difende egregiamente: con la nueva trova di cantanti-poeti come Silvio Rodriguez e Pablo Milanés, con la valorizzazione della rumba, con la freschezza di un gruppo come Los Van Van, con il jazz originale e avanzato di Irakere la musica mette nuova linfa nella sua funzione di elemento decisivo dell’identità cubana, e crea legame sociale e consenso per la Rivoluzione. L’assenza da questo panorama del rock è grave non tanto musicalmente quanto come aspetto di un problema più generale: la separazione dagli Stati Uniti è separazione anche dalle innovazioni e dallo spirito libertario delle culture e controculture degli anni Sessanta, che avrebbero potuto, incontrandosi con la Rivoluzione, contribuire a contrastarne l’involuzione dei grigi anni Settanta.

Se il rock è la musica del nemico, se il jazz ha la sua patria negli Usa, Cuba però a ben vedere non è completamente impermeabile a quello che avviene intorno: Los Van Van offre quel sapore di un tempo nuovo che i giovani occidentali trovano nella musica pop, Irakere mescola jazz, musica afrocubana, funk, rock, Sintesis propone una sorta di “progressive” alla cubana. Oltre ad essere, con l’esercito di musicisti che produce, uno dei grandi successi del sistema educativo cubano, la musica è anche uno degli ambiti più elastici della Cuba socialista: tanto è vero che a parte le prime defezioni del dopo-Rivoluzione, più tardi scelgono l’esilio due jazzisti di rilievo, Paquito D’Rivera e Arturo Sandoval, ma non sono molti ad andarsene nemmeno negli anni novanta del durissimo periodo especial.

Tra anni Ottanta e Novanta sia Sintesis che orchestre di timba – la nuova tendenza che spopola tra i giovani soprattutto neri e mulatti dell’Avana – come NG La Banda e Adalberto y su Son possono permettersi di evocare apertamente i culti afrocubani: le formazioni di timba fanno anche sapidi riferimenti alle nuove dinamiche prodotte dal turismo, come il matrimonio con lo straniero… Rock e rockeros sono ostracizzati fino alla prima metà dei novanta, ma poi cooptati in una Agencia Cubana de Rock.

Più complesso lo scenario aperto dall’emergere dell’hip hop, abilmente aiutato, ma anche controllato, con una Agencia Cubana de Rap. Da un lato intellettuali e anche quadri del Partito hanno visto nell’hip hop, spesso intriso di tematiche impegnate e di questioni razziali e di genere, un’opportunità per contrastare la depoliticizzazione dei giovani: ma una bella rivista come Movimiento, che dava voce all’hip hop in quest’ottica, non casualmente non esce più. Dall’altra l’insofferenza di alcuni gruppi – con notevole seguito giovanile, innanzitutto all’Avana – è arrivata una decina di anni fa a tentativi di aperta dissidenza e azione politica, prestandosi, come nel caso di Los Aldeanos, alla manipolazione da parte dell’agenzia statunitense Usaid.

Parallelo al declino dell’hip hop è stato il boom del reguetòn. Espressione vitalistica e sensuale di proletariato nero e mulatto, è stato bollato, da voci che rappresentano posizioni conservatrici nella complessa dialettica interna cubana, come volgare e di bassa lega: prima della Rivoluzione la rumba aveva ricevuto le stesse accuse. Dopo timba, hip hop e reguetòn, mancano oggi nuove definite tendenze, e figure o gruppi guida come per tutta un’epoca lo sono stati i Los Van Van, ancora oggi a livello popolare considerati un bene nazionale: se tra i motivi ci sono dinamiche musicali e culturali che non sono certo specificamente cubane, questa incertezza della scena musicale sembra però anche rispecchiare una incertezza più generale della società e del sistema cubani, alle prese con una difficile ridefinizione di sé, in una transizione infinita, di cui a tre decenni dall’inizio del periodo especial non si vede ancora con chiarezza l’approdo.