Un «rivoluzionario messianico» innamorato dell’Italia come tutti i tedeschi, insofferente alla casa paterna con le sue memorie di un attaccamento fervente al nazismo, e più in generale alla Germania anche nel dopoguerra incapace di affrontare criticamente gli orrori del conflitto a cominciare dall’Olocausto. Sono alcuni dei racconti che si susseguono nel doc di Nina Di Majo regista più conosciuta per le sue commedie, eccentriche autofinzioni con umorismo di cui è stata sempre protagonista – con l’eccezione dell’ultima, Matrimoni e altri disastri (2011), variazione sulle precedenti un po’ più a distanza ma sempre tra universi di sentimenti scompigliati.

 
Hans Werner Henze: la musica, l’amicizia, il gioco, è invece il ritratto del geniale compositore – sarà presentato domani al festival milanese Sguardi Altrove; una scommessa complicata e non solo perché raccontare un artista è sempre un cammino pieno di insidie ma anche perché alla vita e all’esperienza artistica di Henze (mancato nel 2012) si intreccia quella del Novecento coi suoi traumi più violenti, quali appunto il nazismo e l’olocausto, le fughe che condivide con altri della sua generazione (era nato nel 1926) e coi più giovani da una società tedesca per lui ancora «collusa» col nazismo.
Gay, comunista, amico di Visconti, Pasolini, Nono, Henze sceglie dunque l’Italia, Napoli, Ischia, e non solo per la luce: «l’Italia mi piace, non mi ha mai deluso» dice seduto nella sua casa ai castelli romani.
Nina Di Majo mescola archivi, letture, incontri: i filmati degli anni del nazismo, le vecchie fotografie in bianco e nero degli anni Cinquanta, quando Henze, era il 1952, arriva in Italia fino all’esperienza del Cantiere dell’Arte di Montepulciano. E il repertorio delle opere – magnifico il frammento di Elegy for Young Lovers – l’epistolario con Ingeborg Bachmann, che collaborano insieme per Der Idiot (1953), e a cui lo legava una relazione profonda di amicizia. Le parole del suo compagno di quarant’anni, Fausto Moroni, Cuba e la scoperta dei suoi ritmi, Che Guevara – «Arrivati a Cuba abbiamo letto: ’la lotta armata è la via per la libertà». E le conversazioni intorno a Henze come quella, commuovente, tra la regista e Ermanno Rea che risponde alle domande nella sua casa ricordando invece la passione in lui sempre presente per la letteratura.

 
Diviso in diversi capitoletti, il gioco, l’amicizia, Hans e il 68, il film non segue la linea tradizionale della biografia, e nemmeno cerca delle interpretazioni critiche all’arte di Henze. Piuttosto prova a restituire attraverso una moltitudine di frammenti l’avventura del suo universo, le sue sfide, le sue passioni, i conflitti, i fantasmi.
Lei, Nina Di Majo appare, mentre prova a rimettere insieme i materiali, presenza discreta in una ricerca che, anche stavolta, la vede coinvolta per l’amicizia che legava suo padre a Henze, e che dunque in qualche modo, accorcia le distanze. Anche se di personale nel film c’è soprattutto la fascinazione per una storia, per un mondo che ne contiene altri, una linea infinita e preziosa.