Voi direte pazienza, bruciano vive le persone, chi se ne frega degli strumenti musicali. Ma in questo caso è lecito temere per la sorte del musicista, oltre che del suo strumento. Inoltre le immagini diffuse da vari siti islamisti – siamo nella zona di Derna, Libia – di rullanti e altri pezzi di batteria, ottoni e darbouka (il tamburo a calice della tradizione araba e orientale, inviso forse per la sua intima relazione con la bellydance, la danza del ventre) dati alle fiamme con tronfia soddisfazione da presunti jihadisti, raccontano uno degli aspetti più difficili da comprendere. eppur costante, del massimalismo religioso di matrice wahabita.

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La musicofobia, che al pari di altri “costumi” non ha alcun diritto di cittadinanza in seno all’islam ma viene lo stesso praticata con violenta convinzione da teologi, chierici e “cappellani” militari che si accompagnano alle milizie jihadiste. Un dettame riproposto con le stesse modalità da al Qaeda in Afghanistan, dall’Isis in Siria, dal Mojao nel nord del Mali. Ovunque si è trattato di una furia che si può definire “sonoclasta”, per colpire a morte una voce essenziale se non proprio del Pil almeno del Bil (Benessere interno lordo), ferendo attitudini raffinate e distillate lungo i sentieri di tradizioni millenarie. Alcune, come le apoteosi di musica e poesia proprie delle correnti sufiste, fanno oltretutto parte della stessa storia dell’Islam. Si mettano l’anima in pace i nostri amici. mettano su un disco e si rilassino. Tanto più che definiscono gli strumenti musicali “non islamici”, come se i pick up su cui si muovono e le armi con cui combattono fossero prodotti tipici della Mecca. E come se i libri bruciati dai nazisti fossero stati tutti scritti in ebraico.

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In Mali – c’è da augurarsi che lo stesso avvenga anche in Libia – anche i più timorati di Allah hanno trovato la mossa di vietare musica e musicisti davvero sconveniente, un po’ come proibire il tè agli inglesi. Perché quella musica è parte costituente di sé, bene comune e bisogno vitale al pari dell’acqua, il sale della vita. Senza contare il fatto che di nuovi martiri, o nella migliore ipotesi di altri disoccupati in circolazione, proprio non si avverte il bisogno.