E’ impressionante ritrovarsi nello spazio ridotto di 4mq x 4mq circa in cima alla torre del Castel Tirolo che domina la Val d’Adige, sopra Merano, con attorno le quattro foto in formato gigante che rappresentano ognuna parti del corpo di una presenza altrettanto storica: l’«Uomo venuto dal ghiaccio», meglio noto come «Ötzi» dal luogo in cui fu ritrovato il 19 settembre 1991, le Ötztaler Alpen, sulla frontiera tra Italia e Austria. Portata a Innsbruck, la mummia ci è rimasta sette anni per permettere le indagini medico-scientifiche e archeologiche sulla vita nell’era del rame in zona prealpina. Poi, nel 1998, è stato riportata in «patria», a Bolzano, dove nel frattempo il Museo archeologico dell’Alto Adige era pronto per accoglierla.

L’UOMO era diventato famoso in tutto il mondo per essere la più antica «mummia umida», e per essere stato ritrovato con indumenti e oggetti integri perché colto dalla morte in un istante di vita quotidiana – a differenza di tanti altri scoperti in varie necropoli. Si era ritrovato lassù, a 3.200 metriforse perché stava andando verso nord lungo quello che era allora l’unico sentiero di collegamento col sud. Al Museo, Ötzi – la mummia giace in una cella frigorifera per essere ben conservato a una temperatura costante di 8° C alle stesse condizioni del ghiacciaio in cui è «sopravvissuto per 5.300 anni.

QUI LO SI GUARDA lo si guarda attraverso una finestrella e lo si vede disteso su un tavolo in vetro, come un oggetto esposto, in occasione della mostra intitolata ecce.homo; è come se lui guardasse noi da quelle foto che lo rappresentanto, grazie allo sguardo sensibile della fotografa meranese Brigitte Niedermair che l’ha ripreso ispirandosi al Cristo del Mantegna (fino al 9 dicembre). È lui che assume la valenza di soggetto svelando la nostra attitudine da osservatori, voyeur, che lo vogliamo vedere a tutti i costi, quel corpo martoriato dal tempo, dal vento e dal ghiaccio, ma conservato – come per miracolo – integro, ivi compresi gli organi interni (al contrario delle mummie egiziane alle quali vengono tolti per facilitare il processo di mummificazione indotto da una soluzione salina). Le quattro fotografie scattate all’interno della cella nel 2009 con permessi speciali per i vent’anni del ritrovamento festeggiati nel 2011, ora fanno parte delle celebrazioni del ventennale del Museo durate per una settimana intera.

DICE Angelika Fleckinger, direttrice del Museo, spesso letteralmente preso d’assalto dai visitatori, che sin dal primo momento ha sentito l’aura profonda emanata da questo corpo mummificato che attraverso i suoi componenti fisici e gli oggetti che aveva portato con sé sprigiona tuttora il grande sapere dei segreti della natura accumulati nei secoli, e che nel corso delle ricerche spesso hanno incrociato diverse discipline scientifiche.