Mettere in mostra il lavoro di uno dei maestri dell’architettura del Novecento non è facile, specie se si parla di Aldo Rossi, considerato un vero archistar degli anni ottanta, e con una lunghissima carriera accompagnata da riflessioni dense di contenuti. È proprio questa longevità professionale a essere presentata già nel titolo della mostra Aldo Rossi. Design 1960-1997, a cura di Chiara Spangaro con la collaborazione di Cristina Moro, al Museo del Novecento di Milano (fino al 2 ottobre).

1960-1997: una carriera lunghissima, con una quantità di disegni, prototipi e progetti portati a termine e non, che mettono in evidenza un profilo trasversale che abbraccia il mondo delle arti con grande fluidità. Al museo milanese non c’è la volontà di affrontare ogni sfumatura dell’infinita produzione dell’autore – e qui sta la grande differenza con l’esposizione meno riuscita del MAXXI di Roma nel 2021 (Aldo Rossi. L’architetto e le città) –, ma si presenta un efficacie approfondimento sulla figura di Aldo Rossi designer.

Nonostante gli spazi ostili del Museo del Novecento, la mostra ne esce vincente con un vero e proprio tuffo nel mondo rossiano. I pannelli, rosa, galleggiando nello spazio fanno slittare in secondo piano i soffitti bianchi delle sale del museo, e disegnano così la scenografia perfetta per gli oggetti, i prototipi e i disegni del maestro milanese. L’allestimento, curato da Morris Adjmi e dallo studio Too, è il risultato di scelte che trovano il giusto compromesso tra contenuto e contenitore. Gli elementi emblematici sono disposti come punto di fuga nella sequenza di porte-cornice tra una sala e l’altra concatenando gli spazi e dando vita a un discorso fluido e continuo che sembra dare voce ad Aldo Rossi in persona.

Come nel mondo fuori scala di Alice nel Paese delle Meraviglie, caffettiere giganti e minuscole costruzioni attirano l’attenzione: tutti simili ma tutti diversi fanno emergere il rapporto tra architettura e oggetto e tra forma e funzione.

La selezione dei pezzi, tra cui molti dei circa settanta arredi e oggetti ideati dall’architetto, è precisa e accurata, e permette di verificare la grande attenzione di Rossi allo studio dei volumi puri – cono, cilindro, cubo e parallelepipedo. Con una dedizione che passa dagli schizzi preliminari ai progetti esecutivi, l’architetto disegna (e ri-disegna) non solo sedie e tavoli, ma anche orologi, tappeti di fattura sarda, stoviglie varie, e molto altro, confrontandosi con la storia e la tradizione sia per la tipologia che per le tecniche di realizzazione.

La correlazione tra l’oggetto d’uso quotidiano e il disegno architettonico è fortissima e l’uno trova corrispondenza perfetta nell’altro, in un panorama domestico, intimo, dove sono messe in scena le varianti poetiche di un mondo metafisico carico d’ironia. Monumenti, come quello a Sandro Pertini a Milano, o quello ai caduti di Segrate, e le architetture come quelle dell’ossario del cimitero di San Cataldo, o il teatro Faro a Toronto, diventano moduli decorativi per tappeti, teiere in vetro e ceramica, orologi e pentole.

Nei disegni Rossi utilizza tecniche diverse, dallo schizzo a mano libera alle assonometrie, dalle sezioni tecniche alla pittura a olio fino all’amato collage che adopera per la poltrona Parigi di Unifor. In ognuno di questi l’ideazione è calata in un mondo d’invenzione, carico di colori pastello e di forme che, come personaggi di un cartoon, potrebbero animarsi e iniziare a dialogare da un momento all’altro. In questi quadretti pieni d’incanto non ci sono solo oggetti e architetture ma nature morte composte da frammenti della sua quotidianità; la stessa quotidianità rarefatta, ricca di ricordi da rielaborare, è riprodotta in quello che è un vero e proprio giro di boa nel percorso della mostra: una stanza allestita assecondando la tecnica dei disegni dell’architetto, assemblando, confrontando vero e verosimile. Qui, basandosi sulle foto di Luigi Ghirri e di Stefano Topuntoli, e sulle immagini private delle sue case, si sono ricomposti elementi di alcuni ambienti in cui Aldo Rossi ha vissuto: ci sono i suoi oggetti d’affezione, come il caminetto dello studio in via della Maddalena, il cavallo a dondolo, le pentole di rame, un dipinto con San Carlo, piante e prospetti del Duomo di Milano, ma anche disegni, prototipi, modelli, in una giustapposizione ininterrotta di vita e lavoro, immaginazione e progetti.

Dalla mostra traspare anche l’ampio ventaglio di collaborazioni con alcune tra le aziende più rinomate nel campo del design: per i duecentocinquant’anni di Richard-Ginori, Rossi progetta un Contenitore, una Scatola, un Vaso, e due Brocche; per Molteni sedie, scrivanie e la celebre libreria Piroscafo; per Alessi forse i suoi pezzi più iconici, come le caffettiere Conica e Cupola.

La sua firma rimane sempre riconoscibile in tutti gli oggetti disegnati, perché a ogni realizzazione sottostà una logica che, prima di essere formale, risiede nella mente del maestro. Sfere, cubi, coni, come in un gioco fröbeliano, vengono ripetuti ossessivamente, scalati, alternati e soprapposti o affiancati per comporre oggetti e architetture con dimensioni e funzioni completamente diverse l’uno dall’altro, diventando veri e propri monumenti in miniatura.

L’allestimento espositivo cita brillantemente, in un gioco di rispondenze immaginifico, le stesse scansioni modulari delle opere architettoniche. I vuoti cubici del cimitero di San Cataldo sono riproposti in una sorta di Wunderkammer che raccoglie piccoli oggetti: l’orologio e la pentola Cubica per Alessi, i cucchiaini, le tazze, la caraffa AR01…

Il sipario si chiude su un’enorme ricostruzione del Teatro del Mondo in ambientazione notturna, forse un omaggio un po’ scontato ma di grande effetto; riassunto dell’opera di Aldo Rossi che ci lascia navigando come una chiatta che transita dai sogni alla carta, e infine sfiora, galleggiando placidamente, la realtà tangibile.

Sintetizzare i processi compositivi dell’architetto solamente attorno alla semplificazione delle forme e al tentativo di riportare in auge il classico mediante le scansioni ritmiche dei pieni e dei vuoti e dell’armonia tra le parti, sarebbe riduttivo. Figlio di una generazione che si formava nella tradizione degli ordini greci, Aldo Rossi è tra gli architetti che, nel Novecento, rivoluzionano completamente il modo di insegnare, fare e leggere l’architettura. Perciò una mostra sfaccettata come questa diventa preziosa anche per la comprensione del suo metodo.

L’esposizione si allarga anche nello spazio terraniano dedicato al bookshop: gli armadi a forma di cabine-mare circondate dai gadget allestiscono una vera e propria località marittima mentre, sullo sfondo, la grande libreria Piroscafo di Molteni, incagliata nel colonnato, restituisce la lunghezza della galleria in un ritmo scansionato da ante-finestrelle quadrate.

A corredo, come da tradizione redazionale, il catalogo con le opere esposte. La piccola Guida (Silvana Editoriale, pp. 72, € 12,00), grazie ai testi e alla restituzione digitale delle sale fornisce un sintetico riassunto dei contenuti, ma la mostra è la resa plastica del lavoro importante che sta dietro al Catalogo ragionato. Aldo Rossi. Design 1960-1997, anche questo curato da Chiara Spangaro (Silvana Editoriale, pp. 272,€ 60,00).