Chi di sanzioni colpisce, di sanzioni perisce? Ce la potremmo cavare con una banalissima constatazione: Mosca non è L’Avana. Una cosa è imporre l’embargo ad un piccolo paese caraibico, un’altra è sfidare un colosso globale delle materie prime come la Russia. Se prendiamo il caso dell’Europa, balza subito agli occhi l’integrazione della sua economia con quella russa, per il tramite dei beni energetici. «Divisione internazionale del lavoro»: l’industria estrattiva dell’una per la manifattura e l’industria di trasformazione dell’altra. E viceversa. Un «sistema» che non potrà essere sovvertito dall’oggi al domani.

Il caso italiano. Il nostro fabbisogno energetico è soddisfatto per il 40% da gas, dal 30% da greggio e dal 3% da carbone. Dalla Russia attualmente importiamo il 42% del primo, il 10% del secondo e il 60% del terzo. Nel breve periodo potremmo fare certamente a meno del petrolio e del carbone moscovita, ma non del suo gas naturale. Nemmeno nel medio periodo. «Petrolio e carbone sono mercati più globali e liquidi del gas e dipendono meno da infrastrutture rigide come i gasdotti di importazione europei», ha sottolineato nei giorni scorsi a mo’ di avvertimento il think tank Bruegel presieduto dall’ex capo della Bce Jean-Claude Trichet.

Intanto, Putin ha fatto sapere che da qui in avanti i paesi che acquistano gas dalla Russia dovranno pagarlo in rubli. Non tutti i paesi del mondo, in verità, ma solo quelli «ostili» alla Russia.
Prima di capire come leggere questa mossa bisogna fare un premessa. Con il congelamento delle riserve detenute su conti esteri, la vendita del gas rappresenta per Mosca la principale fonte di approvvigionamento di valuta estera. La rinuncia ai pagamenti in euro da parte dei paesi Ue dev’essere pertanto compensata con la ricerca di nuovi sbocchi per questo bene, come per il petrolio.

Ed è quello che sta accadendo. Rubinetti girati verso l’Asia-Pacifico (Cina ed India, innanzitutto), nella previsione di una diminuzione delle forniture al Vecchio Continente. Il gasdotto Power of Siberia 1, quattromila chilometri dalla Siberia centrale a Pechino, passerà da 16 a 38 miliardi di metri cubi l’anno entro il 2025, mentre è già partito il raddoppio dello stesso per ulteriori 10 miliardi di metri cubi. Un rimedio al blocco europeo sul North Stream 2. Ma non è tutto.

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La partita riguarda anche il petrolio, che, attraverso il Kazakistan (c’è un gruppo di lavoro tra i due paesi), dovrebbe raggiungere più agevolmente ed a prezzi più convenienti la penisola indiana.
Possiamo tornare all’annuncio di Putin. Uno degli effetti immediati delle sanzioni Usa-Ue è stato, com’è noto, il crollo del Rublo (-40% sul dollaro nei primi giorni di guerra). La banca centrale russa, non potendone sostenere adeguatamente il corso agendo sul mercato dei cambi (uso delle riserve in valuta estera per compare assets denominati in rubli), ha fatto l’unica cosa che al momento poteva fare: alzare il tasso di rifinanziamento principale (il prezzo del denaro per le banche) dal 9,5 al 20%. Un modo per attrarre e trattenere gli investitori facendo leva su rendimenti più sostanziosi.

A questa misura, poi, si è aggiunto un programma di acquisti di titoli di stato in scadenza (misura «non convenzionale», sul modello del quantitative easing europeo). I risultati sono stati tuttavia modesti, con pesanti conseguenze sul settore del credito (tassi troppo alti per mutui e prestiti alle imprese, solo in parte mitigati da misure del governo per alcune categorie). Molto più incisiva è stata l’azione delle banche coinvolte nell’export di gas, mediante la conversione in rubli degli euro incassati (recupero del 30% in pochi giorni).

Ora però è arrivata la mossa di chiedere il pagamento in rubli delle forniture di gas. In questo modo, sarebbero i compratori di gas ad intervenire sul mercato dei cambi al posto di Bank of Russia, ovvero di Gazprombank. È semplice: acquistando rubli per comprare gas, i cosiddetti paesi «ostili», Italia compresa, finirebbero per far risalire essi stessi il prezzo della moneta russa in rapporto alla loro moneta. Una mossa beffarda. Ma l’alternativa qual è per l’Italia e l’Europa? Rinunciare al gas russo? In questo caso, potremmo resistere, con prezzi di mercato che schizzerebbero alle stelle, fino alla prossima estate. Poi la situazione diventerebbe a dir poco drammatica.

Razionamento del gas, distacchi dell’elettricità nel corso della giornata, blocchi della produzione in tutti i settori dell’economia, costi smisurati della bolletta energetica. Un terremoto distruttivo per l’economia. Per Putin, dire «mi pagherete in rubli» equivale a dire «posso anche chiudere il rubinetto». Anche per questo, oltre che per chi muore sotto le bombe, bisognerebbe smettere l’elmetto e iniziare seriamente a trattare.