Non occorre soffermarsi troppo sulla versione avanzata dalle autorità russe, e quindi sulla possibilità che Daria Dugina, la giovane donna morta sabato notte in una esplosione alle porte di Mosca, sia stata uccisa da una tale Natalya Vovk, 43 anni, nazionalità ucraina e addestramento nel Battaglione Azov, riuscita secondo gli inquirenti a seguire per un mese Dugina senza essere notata; a piazzare con l’aiuto della figlia dodicenne 400 grammi di tritolo e un meccanismo trasmittente nell’auto della vittima; e fuggire, infine, in Estonia.

GLI INVESTIGATORI hanno mostrato documenti, fotografie e riprese video a sostegno della loro tesi. Ma casi simili risolti troppo in fretta hanno rivelato nella storia recente del paese la scarsa professionalità degli apparati di sicurezza, anziché la loro efficienza. Il fatto che ora si tratti di una fervente sostenitrice dell’assalto all’Ucraina, il cui padre, Alexander Dugin, è fra gli ideologi della nuova destra russa ed europea, non basta a ridurre i sospetti sulle indagini. Anzi: se possibile ne alimenta di nuovi.

Pare, allora, più interessante seguire la piega che il governo ha deciso di imporre agli eventi, usando probabilmente qualche forzatura. È il modo migliore per cercare di capire che segno lascerà sulla Russia un omicidio politico i cui contorni, com’è avvenuto molte altre volte in passato, potrebbero restare a lungo misteriosi.

Il primo dettaglio evidente è che le autorità hanno respinto la cosiddetta pista interna. Eppure domenica sera, a 24 ore dall’attentato, un’organizzazione chiamata Esercito nazionale repubblicano si era fatta avanti con un manifesto politico di carattere rivoluzionario. «Gli attivisti, i militari e i politici dell’Esercito nazionale repubblicano dichiarano da oggi fuorilegge i sostenitori della guerra, i ladri e gli oppressori del popolo russo. Dichiariamo Vladimir Putin un usurpatore e un criminale di guerra che ha emendato la Costituzione, ha scatenato una guerra fratricida fra popoli slavi e ha mandato i nostri soldati verso una morte certa e senza senso».

DI QUESTA ORGANIZZAZIONE mai nessuno aveva sentito parlare prima d’ora. Il collegamento con lo spettacolare attentato contro Daria Dugina lo ha fatto un ex deputato della Duma di nome Ilya Ponamarev, che ha lasciato la Russia nel 2019 e ha trovato dal allora rifugio a Kiev. Secondo Ponomarev, «questa azione, come molte altre azioni partigiane compiute in Russia nel corso degli ultimi mesi, è stata portata a termine dall’Esercito nazionale repubblicano».

Parlando al network che egli stesso ha costruito in Ucraina, Utro Fevralya, ovvero «Una mattina di febbraio», Ponomarev ha anche detto di essere in contatto da tempo con alcuni elementi di questo fantomatico gruppo sotterraneo attraverso Telegram. Otto anni fa Ponomarev è stato l’unico al Parlamento russo a votare contro l’annessione della Crimea. Per i servizi russi vedere esplodere un’auto alle porte di Mosca è un clamoroso fallimento. È il segno che la guerra è definitivamente entrata nei confini russi. Ma il problema sarebbe ancora più grande se l’azione l’avesse davvero portata a termine un gruppo di partigiani già in grado di raggiungere obiettivi politici.

UNO DEGLI INTERROGATIVI più significativi riguarda proprio questo punto. Chi era davvero l’obiettivo dell’azione? Sin dal primo momento si è parlato di Alexander Dugin, 60 anni, padre della cosiddetta Quarta teoria politica, capace di influenzare nel corso degli ultimi anni il dibattito politico in Russia, in Europa e negli Stati uniti. È stato descritto più volte come l’ideologo di Putin. Se fosse davvero legato al Cremlino, sarebbe protetto giorno e notte assieme ai familiari da un paio di uomini dell’FSO, l’agenzia di intelligence che protegge gli alti funzionari. Ma accanto a sé Dugin sabato non aveva nessuno, e lo stesso vale per la figlia Daria. Sull’auto esplosa, secondo le prime ricostruzioni, avrebbe dovuto viaggiare anche lui. Deve la vita a un cambio di programma dell’ultimo minuto.

Le autorità non hanno ancora affrontato apertamente il tema. Ma il materiale che gli inquirenti hanno esposto sino a questo momento porta a pensare che l’obiettivo potesse davvero essere Daria, da anni al fianco del padre nella sua attività politica, come lui al centro di sanzioni internazionali, e dall’inizio della guerra impegnata nella campagna a favore dell’invasione.

 

Daria Dugina, figlia di Alexander Dugin

 

VLADIMIR PUTIN HA PARLATO di «crimine vile e crudele» contro un «vero cuore russo» che «ha dimostrato con i fatti che cosa significa essere patriota». Alexander Dugin, giunto sul luogo della tragedia poco dopo l’esplosione, ha scelto un messaggio esplicito per ricordare la figlia: «Non ci basta la vendetta, ora vogliamo la vittoria».
Sembra questa, quindi, la direzione che il Cremlino ha deciso di seguire dopo avere assistito al primo omicidio politico dai colpi di pistola che nel 2015 uccisero su un ponte nei pressi del Cremlino l’attivista Boris Nemtsov, anch’egli, come Ponomarev, solidamente contrario all’annessione della Crimea.

GIÀ DOMENICA LA PORTAVOCE del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, aveva anticipato misure di rappresaglia nel caso in cui gli investigatori avessero dimostrato responsabilità ucraine. Ora la possibilità che la guerra arrivi a un nuovo livello diventa più concreta.

La grande maggioranza delle questioni sulla morte di Daria Dugina restano aperte. Quale organizzazione sarebbe in grado di definire un obiettivo da colpire in modo così preciso? Una squadra di killer addestrata in Ucraina? Un gruppo paramilitare di partigiani russi? Oppure una delle tante ombre che si muovono attorno al Cremlino?

La Russia dovrà affrontare prima o poi alcuni di queste domande. Per ora i servizi segreti di Mosca hanno inserito Natalya Vovk sull’elenco dei ricercati. Le autorità ucraine hanno respinto le accuse. Il Battaglione Azov ha negato che la donna faccia parte dei loro ranghi. Il governo estone infine ha fatto sapere di non avere ricevuto alcuna richiesta di estradizione.