Tocca a un classico del ’900 inaugurare la stagione del Metastasio, attraverso una appassionata Madre Courage e i suoi figli (in scena ancora stasera e domani, e poi in tournée dopo il debutto al Napoli teatro festival). La creatura di Bertolt Brecht, con le musiche di Paul Dessau, ha un passato glorioso, anche da noi (una tra tutte, la storica edizione genovese con Lina Volonghi), ma è oggi molto poco frequentata. Un testo complesso, dove la protagonista, la mitica Courage appunto, non è propriamente un esempio di virtù, con i suoi traffici commerciali che auspicano e lucrano sulla guerra come stato permanente e ideale. Non a caso Brecht prese come ambientazione la seicentesca guerra infinita dei trent’anni, scrivendo il testo nel 1938/39.

ALLA VIGILIA di una incombente carneficina mondiale, già in pieno svolgimento al debutto a Zurigo nel 1941. Il racconto epico brechtiano aveva musiche di Paul Dessau, che Paolo Coletta, regista dell’attuale versione, sviluppa e amplia (compresa la citazione finale della Mahagonny di Weill) facendone a tratti una commedia in musica). Alcuni dei personaggi suonano anche, in una ballata tanto aggressiva quanto disperata. O almeno tale suona molto chiaramente allo spettatore di oggi, che anche solo dai tg è immerso in una sorta di conflitto permanente e sanguinario, ininterrotto e globale.

MA A DIRIGERE e capeggiare gli eventi è colei che della guerra è certo vittima, ma anche interessata speculatrice, quella Courage che, qui senza la carretta classica, usa tutto il suo ingegno e la passione per trovare ad ogni momento e situazione il modo di guadagnare e trar profitto da quell’immondo percorso del mondo. A costo di perdere, o forse meglio sacrificare scientemente, i suoi figli, i due giovanotti e la muta Kattrin, tutti in cammino verso un destino di morte. Lei che con le sue contraddizioni tra buon senso e morale, è senza potere riconosciuto ma capace di ribaltare in successo e guadagno quell’orrore di marcia al massacro che governa la storia.

QUI, A IMPERSONARE la Courage di tutte le disgrazie, è una straordinaria Maria Paiato, una delle migliori attrici italiane, netta nella parola quanto mobile e penetrante ad ogni sguardo. Tutta intorno a lei è costruita la rappresentazione (Brecht la costruì addosso alla sua Helene Weigel nella Ddr postbellica). E tanto lei è concreta, sottile, decisa, incidentalmene dubbiosa (quasi a sbugiardare ogni parvenza o slittamento del buonsenso), tanto lutulenta e fangosa è l’ineluttabilità di quella guerra, dove per gli interessi commerciali della carretta Courage è sempre possible trafficare e guadagnare, basta esser pronti a schierarsi con la falange vincente, alternativamente cattolica e protestante nella guerra seicentesca, ma in ogni caso saldamente detenuta da chi in quel momento prevale.E senza nessun eccesso di catastrofico pessimismo, è fin troppo facile riconoscervi dispute e scontri di oggi tra poteri essenzialmente omogenei. Senza la carretta sta dunque Courage, davanti a una scura parete di fondo al cui centro si intravede una fonte di luce accecante. Una ambientazione di tipo universalistico, che tende quasi a «omogenizzare» quelle illusioni di momentanei vincitori, già immediatamente destinati alla sconfitta. Con qualche visibilità in più, in palcoscenico, per il cuoco di Giovanni Ludeno e il cappellano di Mauro Marino.