Il passato si è aggrappato alle gonne, ai pantaloni e alle giacche. E a tutto quello che costruisce la rappresentazione del corpo pubblico. E lo sta mordendo con i suoi denti aguzzi costringendolo a una retromarcia. Che cosa è successo alla moda? E, cosa ancora più grave, che cosa è successo alla società?
Nonostante Ronald Regan fosse l’inquilino della Casa Bianca da ormai tre anni, il 5 dicembre del 1983, soltanto 33 anni fa ma sembra un secolo, al Metropolitan Museum di New York Diana Vreeland inaugurava Yves Saint Laurent, 25 years of design, la prima mostra in assoluto che il Museo dedicava a uno stilista vivente. E soltanto l’annuncio provocò uno scandalo.

L’ex mitica direttrice di Vogue, nel 1972 era diventata la curatrice del Costume Institute del Met e, dopo 11 retrospettive, su quella del couturier francese fu accusata di favorire commercialmente un marchio di successo. La mostra ebbe un impatto immenso e divenne epocale. Un punto di riferimento inarrivabile. Il segreto? Non era una retrospettiva, e soprattutto non era una lettura pseudo-storica lunga venticinque anni: era la narrazione della formazione di un presente che si era fatto futuro. Una magia? No. Un lavoro, un pensiero, un fatto. Nelle sale decorate dall’architetto Jeffrey Daly e dal designer David Harvey, dove veniva spruzzato ogni mattina il profumo Paris, erano esposti venticinque anni di moda vivente: gli abiti della linea Trapèze del 1958 per la collezione del debutto da Christian Dior, i costumi per la Deneuve di Belle de Jour di Buñuel e di La sirene du Missisipi di Truffaut, la collezione del 1965 nata dalla ricerca biomorfa su Piet Mondrian, quella del 1967 detta «du Scandal» derivata dalla prima analisi dell’estetica del brutto che la moda abbia mai affrontato.

Il catalogo, con la prefazione dello scrittore René Huyghe, professore al College de France, membro dell’Académie Française e Conservatore del Louvre, è diventato un libro di testo. Ma la moda che si vedeva sui manichini era viva, era anche per strada, era addosso alle donne. E in realtà, la si vede ancora oggi, richiamata, copiata, trasformata. Ed è questo che fa di Yves Saint Laurent, nato a Orano in Algeria nel 1936, il genio della moda del secondo Novecento e del Duemila che stiamo vivendo.

Quanto oggi la moda abbia bisogno di reclamare una legittimazione che non può arrivare dall’immaginazione ma dall’esperienza della storia, lo dice l’annuncio di una mostra che sicuramente avrà un’eco lunghissima sul bisogno che abbiamo di appoggiare al nostro passato, ritenuto più nobile, la fragile consistenza del nostro presente. Si tratta di House Style: Five Centuries of Fashion at Chatsworth che si svolgerà, dal 25 marzo al 22 ottobre 2017, nel castello della famiglia Cavendish, della quale nel Settecento è entrata a far parte anche Giorgiana Spencer diventata duchessa di Devonshire.

Curata da Hamish Bowles, International Editor-at-Large di Vogue, agli abiti storici mescolerà quelli delle duchesse successive (Dior, Givenchy, Alexander McQueen, Margiela, Helmut Lang e Vetements), la mostra ha in realtà un grande ispiratore in Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci (marchio che sponsorizza l’esibizione), autore di una moda che proprio nella storia cerca una sua rivalutazione.

«Gli oggetti storici rappresentano un’incredibile fonte d’ispirazione per la creazione del presente», dichiara Michele nella consapevolezza che, comunque vada, la storia insegna. Ma certifica una grande perdita dell’oggi: l’immaginazione del futuro. E nel frattempo, Donald Trump si sarà insediato alla Casa Bianca.

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