A partire dal 2017, in Russia gli stranieri non potranno detenere più del 20 per cento di una casa editrice. Lo ha stabilito una legge voluta da Vladimir Putin, sempre più occupato a controllare la stampa e l’opinione pubblica per poter affermare la sua idea di Rinascita della Grande Russia. La legge ha messo in allarme soprattutto il mondo dell’editoria della moda perché la maggior parte delle riviste ricche di pubblicità che escono in Russia sono edite da case editrici straniere, a volte in partnership con editori locali.
Le riviste di moda più diffuse in Russia sono infatti Vogue, GQ, Glamour e Tatler pubblicate da Condé Nast, Elle e Marie Claire pubblicate da Hearst Shkulev Media, Grazia, Harper’s Bazaar, Cosmopolitan edite da Sanoma Independent Media. L’ondata protezionistica potrebbe allargarsi ad altri settori e, quindi, preoccupa anche i produttori di moda, soprattutto quelli che hanno o vorrebbero avere proprie sedi russe, come in Usa o nel Far East, per staccarsi dai distributori locali proprietari dei negozi con le insegne della moda internazionale.

La fetta di mercato è enorme e per molti continuare a vendere sotto il loro controllo significa sottostare a regole che appaiono perlomeno monopolistiche. Sembra, però, che l’opinione pubblica russa, soprattutto a Mosca, sia molto contenta di questa new wave del super presidente, tanto che si parla di un nuovo corso della moda russa che dovrebbe contrastare l’invasione della moda europea. Gli stilisti russi Ulyana Sergeenko, che sfila con la sua linea Couture a Parigi, Slava Zaitsev, ex capo dell’Istituto di Moda a Mosca durante l’Urss, Igor Chapurin e pochi altri sono i protagonisti attorno ai quali dovrebbe nascere questa «nuova moda russa». Un’espressione già sentita. All’indomani della Rivoluzione del 1917, fu stabilito un comitato per la nascita della nuova moda russa.

A Vera Mukhina, Aleksandra Ekster, Nadezka Makarova e Jevgenija Pribyl’skaja, tutte artiste del nascente Costruttivismo russo, fu affidata la missione di pensare ad abiti lontani dall’idea conservatrice della moda borghese, capaci di recuperare, con la sovrapposizione di figure geometriche, le forme e la funzionalità degli abiti popolari ma con un’estetica forte perché «a un’epoca eroica deve corrispondere un’immagine eroica».

Teorizzato da Varvara Stepanova, moglie di Rodchenko, in un articolo sul giornale costruttivista LEF intitolato Prozodezhda (abiti industriali), abbracciato da Nadezhda Lamanova, proprietaria di una casa di moda zarista poi nazionalizzata dai bolscevichi, il processo si dimostrò lentissimo. Nel tentativo di velocizzarlo, negli Anni 30 Stalin interpellò Elsa Schiaparelli, la sarta che lavorava con i surrealisti a Parigi, ma i due litigarono al primo incontro. La «nuova moda russa» non nacque mai e un servizio di Life documenta l’enorme successo di una sfilata di Dior a Mosca nel 1959, la prima di un marchio europeo in Urss, e con la caduta dell’Urss la Russia è diventata uno dei mercati più ricchi della moda borghese-occidentale. Ma quello che non è riuscito a Lenin e a Stalin oggi potrebbe riuscire a Putin.

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