Nel 1966, Luis Buñuel ha cominciato a girare Belle de jour, un film tratto dal romanzo già vecchio, l’omonimo del 1929 di Josef Kessel, sceneggiato dal regista Jean-Claude Carriere. Per la parte della protagonista, aveva a disposizione un’attrice giovane, eccezionalmente bella, che corrispondeva esattamente alla frigida Severine del romanzo, Catherine Deneuve. Però, aveva davanti a sè un problema: come vestirla? La ricerca del costumista fu difficile. Chi avrebbe potuto preparare gli abiti per un personaggio così complesso come lo era questa rappresentante della borghesia parigina ricca e annoiata? E soprattutto, come vestire una donna borghese che attraverso le sue perversioni dettate dalle sue fobie quello che cerca di fare veramente è abbattere il perbenismo borghese? La scelta del costumista è caduta su Yves Saint Laurent, uno stilista al quale Buñuel non ha dovuto spiegare nulla perché lui, con la sua moda, faceva esattamente la stessa cosa di Severine: stava abbattendo il perbenismo borghese con il plauso della borghesia.

Tra tailleur e scarpe indossati dalla Deneuve-Severine nel film, quelli che descrivono meglio il concetto sono le scarpe con il tacco basso e con la fibbia dorata (disegnata da Saint Laurent e realizzata da Roger Vivier che se ne impossessò) e la giacca che indossa nella scena della violenza nel Bois de Boulogne. Quando il cocchiere, invitato dal marito, strappa la giacca del tailleur di Severine, il sonoro del film restituisce il rumore di uno strappo, quello del velcro, inventato per l’occasione, messo al posto dei bottoni. Quello strappo dice tutto, del film e della moda di quegli anni: è la rottura, il punto e a capo del non ritorno, la partenza di una moda che deve descrivere l’evoluzione non solo della forma ma del pensiero.

Poi è arrivato il Sessantotto, il femminismo, la rivoluzione sessuale, il personale che è politico, la politica sociale, il sentimento sganciato dal sesso e viceversa e la moda ha continuato a raccontarli e, in molti casi, ad anticiparli. Insomma, tutto quello che la moda non sta facendo oggi, se non in minima e timida parte. Ed è un peccato di omissione, per lo meno. Alle sfilate per la moda autunno/inverno 2014-15 che si sono viste a Milano e continuano in questi giorni a Parigi, gli abiti sulle passerelle descrivono per lo più una figura di donna molto rassicurante, molto ricca e molto imprigionata nella cultura della piccola borghesia dei nouveau riche che impera oggi che la grande borghesia non esiste più.

Quanti tailleur citano gli Anni Sessanta ancora perbene, quanti tailleur pantaloni vorrebbero la rinascita della donna manager, quanti abiti languidi riportano all’indietro le conquiste femminili. Proprio come avviene con le leggi che parlamenti democraticamente eletti costruiscono per abbattere i diritti acquisiti, da quelli del lavoro a quelli individuali, che vengono negati in nome della tolleranza che protegge lo status quo. Mentre la moda è alla ricerca di una nuova Belle de jour.

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