Lo sciopero delle Officine di Bellinzona è durato un mese, nell’aprile 2008. La dirigenza delle Ferrovie Federali Svizzere aveva stabilito la dislocazione del reparto di manutenzione delle locomotive, il conseguente licenziamento immediato di 120 lavoratori e un futuro di joint venture con aziende esterne che avrebbero soppiantato altri settori produttivi. Questo piano è stato accantonato a seguito della mobilitazione operaia.

La ricerca «Qui erano tutti ferrovieri» Lo sciopero dell’Officina FFS di Bellinzona nel 2008. Studio sul vissuto e sulle percezioni dei protagonisti di Maël Dif-Pradalier, Angelica Lepori e Agnese Strozzega (Edizioni Casagrande, pp. 140, euro 25), racconta le premesse di questa vittoria e le sue crepe, a partire da interviste a quanti hanno partecipato alla lotta.

LO STUDIO della mobilitazione viene inserito all’interno del sistema di lavoro post-fordista e questa è anche una delle ragioni per cui il successo dello sciopero ha avuto un’eco maggiore: «nell’attuale configurazione neoliberista del capitalismo, la valenza del lavoro considerato come capitale umano è invece subordinata al valore per gli azionisti, i cui interessi sono difesi dai vertici aziendali». A dire il vero è già abbastanza stupefacente che lo sciopero sia stato fatto considerato che: «noi abbiamo permesso di creare dei lavoratori che vivono nella paura, la prima sconfitta sindacale e sociale è questa». Terrore subito anche dagli operai delle Officine: «la direzione ha detto agli operai che chi andava all’assemblea sarebbe stato licenziato».

IL PASSAGGIO all’azione è stato favorito da una forte coscienza di classe condivisa dagli operai delle Ffs e dall’orgoglio di essere ferrovieri, nonché dal fatto non trascurabile che la decisione delle Ferrovie di chiudere il settore manutentivo delle Officine di Bellinzona per spostarlo a Yverdon-les-Bains non aveva alcun senso, neanche quello del profitto.
La ricerca descrive ogni fase dello sciopero, a partire dall’assemblea che elegge il Comitato di Sciopero e il suo presidente: Gianni Frizzo, il cui nome a distanza di anni è ancora ben conosciuto in Canton Ticino. Durante il mese di aprile del 2008 le Officine diventano un luogo di lotta, dibattito e aggregazione.

Nasce il Gruppo Donne, che unisce le mogli e le compagne degli scioperanti che hanno bisogno di condividere le preoccupazioni economiche familiari, ma anche di incontrarsi per mettere a frutto la loro visione politica, il loro punto di vista sui fatti. Il gruppo permarrà anche dopo la fine della mobilitazione: troppo grandi erano stati il piacere e l’importanza di essere insieme e di riconoscersi. Il sostegno ai ferrovieri è trasversale, la cittadinanza certo, l’intero cantone, ma anche le parti politiche tutte appoggiano lo sciopero; in seguito le stesse autorità politiche approveranno il piano di smantellamento e di ricostruzione delle Officine in un altro sito, nonostante l’opposizione dei lavoratori.

SE È VERO che: «da uno sciopero così si impara qualcosa: innanzitutto che noi non siamo scemi, abbiamo difeso la nostra dignità e il nostro posto di lavoro. Impari anche che la lotta paga», è anche innegabile che l’orgoglio dei ferrovieri delle Officine, molla all’inizio e durante lo sciopero, è stato fonte di grande frustrazione dopo.
Molti, potendo, sono andati in pensione o hanno cambiato lavoro, e una buona parte dei nuovi arrivi sono contratti interinali. Grazie alla mobilitazione del 2008, l’Officina di Bellinzona ha acquistato lo statuto di patrimonio collettivo e di bene comune, al di là della sua proprietà statale». E per i lettori non ticinesi si tratta di una lettura dal sapore mitico, da Ultima Thule.