I libri proibiti a Pechino ma venduti a Hong Kong, si trovano perfino nelle edicole. Più spesso nelle librerie, alcune delle quali sono piccole, anguste, piene di oggetti ingombranti. Talvolta queste piccole librerie sono intrufolate in stretti vialetti che sono percorsi da ristoranti, centri massaggi, negozi che cambiano valute. C’è odore di ravioli al vapore, talvolta di curry o di kebab, a seconda della zona in cui si trovano.

Attorno – in ogni caso – c’è Hong Kong che si muove, che traffica, che palpita. L’Oriente incontra l’Occidente, la libertà, si dice, incontra il fascino orientale. La confusione asiatica, incontra la guida a destra da ex colonia britannica. Causeway Bay è lì, grattacieli e finanze, più in là i traghetti in partenza per le isole, come Lamma Island, che ha una centrale elettrica in bella vista, mentre turisti cinesi e non solo si ingozzano di vongole e gamberi al sale.

A Causeway Bay c’è una di queste piccole librerie che vendono libri proibiti a Pechino: storiacce, leggende, fantasie, inchiodate su sottilissime verità agganciate a qualche conversazione rubata in qualche tavolo di chi ne sa o di chi millanta conoscenze, rapporti con funzionari, autisti di funzionari, amanti di funzionari, amanti di amanti di funzionari. Si tratta di pubblicazioni dozzinali, gossip allo stato puro, Hush Hush dell’America anni Sessanta evoluti e in forma di libro.

Fanno sognare e ridere, confermano dicerie e complotti. Pongono qualche dubbio, come fanno i loro titoli: Xi Jinping e la sua caduta nel 2017, il Collasso del Partito comunista. Piacciono molto ad alcuni cinesi che vanno apposta a Hong Kong per comprarsi quei libri. Per avere tra le mani una critica feroce dei propri leader, ben sapendo che non tutto è vero, anzi, poca è la verità, il più è chiacchiera, sotterfugio, provocazione.

Questa piccola libreria che si trova a Causeway Bay è situata tra un negozio che vende vitamine e integratori e uno che propone abbigliamento. Questa piccola libreria produce totalmente i libri in vendita: li scrive, li confeziona, li pubblica e poi li vende. I suoi gestori e proprietari non sono noti, anzi.

Altre librerie e case editrici, sono ben più famose. C’è il figlio di un vecchio funzionario del partito comunista, ad esempio, che ha pubblicato svariato materiale interessante. Materiale vero, scottante, memorie e aneddoti di vecchi leader del partito. Storie vere. Infatti lui, questo signore di mezza età con i capelli tinti, un buon inglese e una gentilezza quasi d’altri tempi, spesso è stato intervistato dai giornalisti stranieri. I gestori di Causeway Bookstore, invece, non hanno mai rilasciato interviste, non sono mai stati nei radar di giornalisti interessati alle loro pubblicazioni.

La mente di tutto questo giro d’affari, dato che alla fine parliamo di bei soldi, si chiama Gui Minhai. È un cittadino cinese ma ha anche la cittadinanza svedese. È una persona brillante, dicono, ha molti contatti e scrive personalmente le sue storie. Lee Bo è il gestore della libreria. Di Gui Minhai dice che è una persona dalle mille risorse, scrive personalmente i libri e non sempre le pubblicazioni raccontano tutta la verità.

Qualcun altro dice che Gui non è molto gradito ai principini, una casta interna al Partito formata dai figli di vecchi compagni assurti ormai alla mitologia. Uno di questi principini, purtroppo per Gui, è proprio Xi Jinping, ed è il numero uno della Cina. Dicono che Gui abbia una storia per le mani clamorosa, ma pare non abbia rivelato a nessuno di cosa si tratta. Qualcuno dice che Gui starebbe scrivendo un libro su Xi Jinping e le sue amanti. Gui è talmente concentrato nella stesura del volume da comunicare alla moglie di aver bisogno di tempo e spazio. Per questo parte per la Thailandia, dove ha una casa lussuosa a Pattaya. Si mette a scrivere furiosamente; sulla sua scrivania ci sono il Mac, alcune medicine e le immancabili sigarette.

Fuori dalla finestra una splendida vista. In Thailandia, un giorno, riceve una visita. Si tratta di quattro persone vestite in modo distinto: due non parlano thailandese, ma confabulano al telefono in cinese. Le persone escono dal resort con Gui e salgono su una macchina. Da quel giorno Gui è scomparso, non si trova più. Si muove l’ambasciata svedese, ma la situazione diventa subito più complicata, perché Gui non è solo, nella sparizione. Oltre a lui sono scomparsi, tra ottobre e novembre, Lam Wing-kei, manager della libreria, Lui Bo, general manager della casa editrice e Cheung Jiping, business manager della casa editrice. Lee Bo, il libraio, denuncia la scomparsa dei suoi quattro soci.

Alcuni giorni fa, però, sparisce pure lui. L’evento scatena proteste e reazioni, perfino il Chief executive dell’ex colonia, il lupo Leung Chun-ying, noto per le sue posizioni filo pechinesi, si muove e butta lì il sospetto che ci sia proprio la Cina dietro queste sparizioni. In pratica, se fosse vero, Pechino metterebbe in clamorosa discussione il perno della relazione con Hong Kong, il noto «one country two system». La bussola delle relazioni tra mainland e isola.

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Il South China Morning Post, il quotidiano di Hong Kong, in procinto di essere acquisito dalla cinese Alibaba, si è lanciato sulla storia. Lee Bo, è stato scritto, avrebbe lasciato un memorandum, sostenendo che sarebbe stato tranquillo, solo se non si fosse avvicinato troppo alla Cina.

Ma la moglie teme possa trovarsi a Shenzhen, Cina sud orientale, a pochi chilometri da Hong Kong, in un posto di polizia. Conversazioni scarne, fax lasciati a marcire nella libreria, che è stata trovata aperta, con le luci accese. L’evento, secondo la stampa, è desinato a mutare per sempre la natura «libera» della stampa di Hong Kong. Un altro di questi librai, proprietario della Page One, racconta di aver ricevuto l’invito a togliere dagli scaffali i libri «proibiti». Quello che preoccupa, è il giro d’affari. «Il primo libro di Lee – ha raccontato al Post un editore locale, di nome Jin Zhong – era sulla cosiddetta «nuova banda» di Shanghai. Nella storia si parlava del corrotto capo del partito Chen Liangyu, ha raccolto molto interesse». Quel libro, ha aggiunto, avrebbe generato un utile di oltre un milione di dollari di Hong Kong e divenne il «primo secchio d’oro di Lee».

Lee avrebbe inoltre stabilito una tendenza «a pubblicare titoli che coprono la maggior parte degli sviluppi della politica cinese». A differenza dei suoi libri – racconta – che richiedono mesi per la produzione, «i nuovi editori possono fare tutto in pochi giorni», spostando il mercato sul binario del «sensazionalismo politico».

Nel frattempo, affari andati a male o meno, degli scomparsi non si sa ancora nulla.