I segnali della vigilia non lasciano sperare niente di buono. Dopo qualche tentennamento, anche la Slovenia ha annunciato ieri di voler costruire un muro di filo spinato ai confini con la Croazia vista l’inutilità dei tentativi fatti dall’Unione europea per fermare il flusso di migranti ma soprattutto perché Lubiana si aspetta, a partire già da oggi, una nuova ondata di profughi, almeno 100 mila nei prossimi dieci giorni. A sua volta la Germania ha reso nota l’intenzione di ripristinare il regolamento di Dublino anche per i profughi siriani, che quindi potrebbero essere rispediti nel primo paese in cui sono sbarcati.
Con queste premesse si apre oggi a Malta l’atteso vertice tra Ue e Paesi africani che dovrebbe, nelle speranze di Bruxelles, riuscire a trovare un accordo su un piano basato principalmente su due punti: fermare le partenze dai paesi di origine e accelerare il rimpatrio dei migranti giunti in Europa. Obiettivi che Bruxelles conta di raggiungere mettendo su piatto 1,5 miliardi di euro destinati alla cooperazione (a fronte di 9,2 miliardi per gestire l’emergenza alle frontiere) ma anche favorendo, a partire dai primi mesi del 2016, missioni di funzionari africani in Europa proprio per facilitare le operazioni di identificazione e quindi i rimpatri.
A La Valletta si ritroveranno 63 capi di Stato e di governo dell’Ue e africani, compresi i rappresentanti di dittature come l’Eritrea con i quali Bruxelles ha scelto di dialogare. Che non sarà una passeggiata è chiaro a tutti, anche perché se Bruxelles vuole risolvere un’emergenza che rischia di mettere in ginocchio l’Unione europea non potrà non tener conto delle richieste che le verranno presentate dai leader africani. Lo sa bene il presidente del consiglio europeo Donald Tusk che non a caso ha già convocato, sempre a Malta, un vertice straordinario per fare il punto sui risultati raggiunti. «Se vogliamo evitare il peggio dobbiamo accelerare l’azione», ha spiegato nei giorni scorsi ai paesi membri.
Dopo mesi di vertici falliti, durante i quali ha mostrato di non avere la capacità di affrontare e gestire in maniera comune la crisi dei migranti, a far paura all’Ue oggi è la constatazione che se non riesce a fermare i profughi, saranno i profughi a fermare l’Europa. E non solo per i troppi muri sorti negli ultimi mesi ai confini interni, ma anche per l’ostilità dimostrata da alcuni paesi, primi fra tutti quelli aderenti al gruppo di Visegrad, nell’accettare alcune regole comuni come il ricollocamento di 160 mila migranti già presenti nei confini europei. Ostilità come quella dimostrata dalla Polonia, che al vertice straordinario di giovedì si farà rappresentare da un ambasciatore in polemica proprio con Tusk. «L’unico modo per non smantellare Schengen è gestire correttamente le frontiere», ha avvertito il presidente del Consiglio europeo. Introducendo così la strategia europea per l’immediato futuro: abbattere i muri interni e rafforzare i confini esterni dell’Unione. Tradotto: rendere se non impossibile almeno più difficile per i migranti entrare in Europa.
Non c’è quindi tempo da perdere, secondo i tecnocrati di Bruxelles, che non vogliono ulteriori tentennamenti politici sulle misure d’emergenza per la gestione dei flussi migratori: sistema hotspot e implementazione dei progetti più tecnologicamente sofisticati per il monitoraggio dei confini sotto la supervisione dell’agenzia Frontex. Così protagonista del vertice di oggi sarà una bozza di interventi pre-selezionati, tre paginette e 18 punti diffusa ieri dal sito di controinformazione StateWatch. Al primo punto si prevede una rapida partenza – entro il 16 novembre – degli hotspot in Grecia e Italia (oltre a Lampedusa, l’unico già pronto, in Italia mancano ancora Pozzallo, Porto Empedocle, Augusta, Taranto e Trapani mentre in Grecia si devono attivare Lesbo, Chios, Samos, Lekos e Kos). In questi punti-caldi i «facilitatori» di Frontex e dell’ Easo dovranno mettere in funzione i macchinari per il rilevamento digitale delle impronte e utilizzare le procedure integrate di identificazione e scambio di informazioni di intelligence.
L’obiettivo non è soltanto quello di contrasto alle infiltrazioni terroristiche ma soprattutto il contrasto all’immigrazione stessa. E infatti si raccomanda all’Alta rappresentante per la politica estera Francesca Mogherini, nei prossimi contatti bilaterali, di stabilire clausole per il rimpatrio dei migranti in cambio di incentivi economici. La stessa Mogherini sarà chiamata a relazionare sui successi di questa diplomazia dei rimpatri forzati in una apposita riunione del Consiglio già fissata indicativamente per il 3 o 4 dicembre. I primi paesi interessati da questa specie di corridoi disumani inversi saranno: Afghanistan, Marocco, Nigeria, Pakistan, Tunisia e Turchia. In una seconda fase, entro gennaio, dovrebbero poi essere definiti gli accordi migranti-in-cambio-di-denaro con Etiopia, Niger, nuovamente con il Pakistan, e con la Serbia, paesi con i quali, si dice, sono già stati avviati i primi contatti. Sempre nella logica del do ut des alla Turchia, investita da un ruolo cardine nell’intero sistema di gestione dei flussi, si riconosce la liberalizzazione dei visti d’ingresso nei 28 paesi dell’Ue per i suoi cittadini nel contesto di accordi di cooperazione rafforzata.
Nel documento preparato dagli alti burocrati si sottolinea l’esigenza di estendere progressivamente il ruolo dei funzionari di Frontex alle frontiere europee fino al dispiegamento di squadre denominate «Rabit», acronimo di rapid border intervention teams. Il nome è meno fantasioso di ciò che appare: «Jo Rabit» era il nome della missione 2010-2011 per la costruzione del muro anti-immigrazione lungo il fiume Evros tra Grecia e Turchia, considerata da Frontex come il suo più grande successo, incluso la gestione di oltre 100 giornalisti e le accuse di violazione dei diritti umani. Allora in quattro mesi di supporto alle guardie di frontiera turche e greche con 576 funzionari di Frontex, il costo fu 5,5 milioni di euro. I costi umani, nel report finale, non sono menzionati.
Ora con team simili, in tandem con l’agenzia Eurojust, si studia la realizzazione di hotspot anche ai confini dei Balcani, insieme a percorsi-chiave per incanalare i profughi. La pressione dei migranti alle frontiere è prevista costante, visto che il piano è quinquennale, fino al 2020. Ma – e questo sarà probabilmente il nodo della discussione a La Valletta – nell’agenda precompilata si prevede anche un periodo di sospensione dell’accordo di Schengen: l’estate prossima, tra il 1 maggio e il 31 ottobre, verrebbero ripristinati i controlli anche alle frontiere interne. Cosa resterà allora dell’Europa, non si sa.