Il tempo e il gusto del pubblico sono implacabili con alcuni autori; la mobilità della loro fortuna si riflette nello spirito dell’epoca, l’altalena della critica si spezza nell’incapacità delle opere di superare le barriere imposte dall’evoluzione dei costumi e della società . Non è storia nuova: la pistola della contemporaneità non è mai caricata a salve quando si affaccia sul palcoscenico della storia. Per questo è quantomeno bizzarro, e inusuale, assistere alla messa in scena di uno dei testi teatrali più celebri e discussi di Jean -Paul Sartre, ‘A porte chiuse’, nella versione in lingua spagnola (‘A puerta cerrada’) di Serge Nicolai, attore e scenografo del Theatre di Soleil, in trasferta al Vie Festival di Modena. Prima di scambiare quattro chiacchiere amabilissime con Nicolai nel locale caffé-concerto, luogo che al regista ricorda da vicino i suoi inizi di discepolo di un’allieva di Kantor, Marta Stebnicka, e la nuova scena argentina da dove arriva il suo quartetto di attori della compagnia Timbre 4, è necessario precisare come anche un testo datato può risultare all’improvviso foriero di novità. Soprattutto nel momento in cui cambia latitudine.
Dunque, se Sartre in Italia risulta oggi illeggibile in altri luoghi, e in particolare modo in America Latina, non lo è affatto. Qui da noi, a memoria sono rari gli allestimenti, pochi i libri, una poderosa biografia scritta da Bernard Henri-Levi per il centenario della nascita, un ampio saggio di Alessandro Piperno sulla sua lettura di Baudelaire, e riferimenti disseminati qui e là nelle riedizioni delle conferenze brasiliane di Franco Basaglia. E forse proprio le riflessioni ad alta voce dello psichiatra veneziano possono consentire una chiave interpretativa allo spettacolo, che nulla toglie all’ambivalenza del testo che non può essere racchiuso nella celebre frase: «L’inferno sono gli altri». Anzi.

Sono queste le questioni cruciali che aprono la conversazione. «Raccolgo l’obiezione e rispondo che Sartre in Argentina è dappertutto. Le sue opere sono facilmente reperibili e continuamente ristampate. Ritengo che la ragione si trovi anche nel fatto che l’Argentina è sostanzialmente un paese nuovo, la dittatura è finita relativamente da poco tempo, e perciò si avverte l’esigenza di un confronto serrato, dialettico, persino polemico con la grande letteratura europea. Credo che artisti e intellettuali argentini trovino molte risposte ai loro interrogativi anche nelle opere del filosofo francese».
Su tale terreno impervio s’innesta poi l’intreccio favorevole di una scena teatrale vivissima in tutti i suoi risvolti. «Proprio così, il teatro in Argentina sembranon dormire mai. C’è un tale fermento, drammaturghi, attori, registi, spettacoli nascono dovunque. Chi ha desiderio di fare teatro si misura non solo con il lavoro creativo, ma spesso per mangiare deve pure lavorare la mattina, e poi la sera salire di nuovo in palcoscenico o mettersi a scrivere».
Pare un Theatre du Soleil diffuso. «Lavoro, lavoro, lavoro. É vero. Con Ariane Mnouchkine conta il lavoro e conta pure mandare avanti il teatro come una casa e come un luogo quotidiano in cui ci si confronta anche con piccole incombenze come cucinare, fare le pulizie … Non si tratta solo di organizzare le proprie creazioni artistiche. Io disegno, dipingo, costruisco le scene».
La memoria corre al magnifico Le Dernier Caravansérail di Mnouchine, spettacolo migrante, epico, chiave di volta e anticipatoria di cosa stava diventando l’Europa. E conversare con Nicolai è un po’come viaggiare nel mondo. «Quello spettacolo è stato un’esperienza indimenticabile. C’erano tanti attori di nazionalità diverse. D’altronde anche io ho sempre privilegiato il dialogo con altre culture. Il Teatro Timbre 4 con cui sto lavorando l’ho conosciuto a New York. E l’incontro con Claudio Tolcachir si è trasformato immediatamente in amicizia».