Dal cilindro di Matteo Renzi, alla fine, è saltato fuori il solito coniglietto: Raffaele Cantone. Stavolta il jolly di palazzo Chigi dovrebbe «arbitrare», al secolo decidere chi tra gli obbligazionisti truffati dovrà essere (parzialmente) salvato e chi sommerso dalla miseria. In base a quali competenze Cantone dovrebbe arbitrare meglio di chiunque altro resta oscuro, ma il nome fa scena e il fatto che con la materia l’uomo c’azzecchi zero in questo caso è un vantaggio. Perché stavolta le ombre gravano non solo sulla politica ma anche sui tecnici.

Nell’occhio del ciclone Bankitalia e Consob ci si ritrovano quanto e più del governo. Nel 2013 sapevano perfettamente, con tanto di lettera scritta e poi secretata dal governatore Visco, che Banca Etruria stava affondando e tuttavia «emetteva obbligazioni subordinate», che in buon italiano si traduce smerciava patacche a quanti più malcapitati possibile. Sapevano anche che la ricapitalizzazione di 100 milioni era una goccia nel mare, largamente insufficiente, e che i dirigenti dello specchiato istituto stavano vendendo il loro patrimonio immobiliare, ma solo per finta. Sapevano ma facevano finta di non sapere, e se le indagini in corso ad Arezzo dovessero confermare l’ipotesi di «omessa vigilanza» la palla passerebbe a Roma e la situazione si farebbe decisamente più complessa. Ma anche in caso contrario, le ombre che si sono addensate su Consob e Bankitalia non si dissiperebbero certo, tanto meno con un procuratore, quello di Arezzo, che è anche collaboratore del governo. E per questo ieri il Csm ha deciso di aprire una pratica, per verificare profili di incompatibilità tra i due incarichi.

Non è neppure detto che le cose si fermino qui: intorno alla pur blindata procura aretina si respira la stessa aria di tangentopoli, quando ci si aspetta ogni giorno qualcosa di nuovo e circolano voci di ogni tipo. Inclusa l’eventualità di un nesso ancora più diretto con la politica, con qualche finanziamento di campagna elettorale. Ma sono appunto, per ora, solo voci: che tuttavia rivelano quanto alta sia la tensione.

Ecco quindi spuntare Cantone, che ormai come testimonial lavora più di Banderas e George Clooney messi insieme. Sempre che sia possibile, perché Renzi ha sparato il nome senza ancora essere certo di poter davvero schierare l’onestissimo: «Se possibile vorrei che gli arbitrati fossero gestiti dall’Anac di Cantone. Un’autorità terza e autorevole». Che è un po’ come ammettere che Bankitalia e Consob non sono né terzi né autorevoli, e non garantiscono «la massima trasparenza». Cantone o non Cantone, poi, le parole di Renzi sono tutt’altro che rassicuranti per i truffati, che si accingono a protestare con un sit-in a via Nazionale martedì prossimo: «Faremo il possibile perché chi è stato truffato, ma chi è stato truffato davvero, possa essere rimborsato». Sembra ragionevolezza. Per chi conosce il politichese è segno che i rimborsati saranno pochi.

Il nome di Cantone non basterà a salvare il governo da un danno d’immagine che al momento resta pesantissimo. Tanto più importante sarà la performance di Maria Elena Boschi stamattina alla Camera. La mozione di sfiducia dell’M5S sarà votata anche da Sel, Lega e Fdi. Non da Fi, che uscirà dall’aula in base a calcoli imperscrutabili. L’esito del voto è scontato in partenza, e il bis al Senato arriverà solo dopo la pausa natalizia, essendo stata bocciata ieri dall’aula di palazzo Madama la proposta pentastellata di anticipare a lunedì il voto sulla sfiducia. Ma la sorte della mozione è secondaria: è la fiducia del popolo votante non quella dei parlamentari che la ministra-star si gioca oggi a Montecitorio. Quando prenderà la parola sarà l’occasione per restaurare, o definitivamente rovinare, un’immagine sinora uscita molto più che ammaccata.

In parte Boschi si produrrà in un prevedibile repertorio: il decreto necessario per salvare 7mila posti di lavoro e migliaia di correntisti; l’assoluto disinteresse suo e del governo nella faccenda; probabilmente la denuncia di un uso strumentale del fattaccio… Il margine di incertezza è però essenziale. La ministra non avrebbe ancora deciso se affrontare di petto i dubbi che hanno portato alla mozione di sfiducia. In concreto: se parlare anche del padre e delle sue attività di dirigente prima, vicepresidente poi, della banca fallita.

E’ un passaggio delicato, perché il confine tra legittima presa di distanza di un ministro dalla sfera familiare e reticenza è labile ma anche perché Boschi sembra aver retto malissimo la brutta storia sul piano emotivo. Ma soprattutto perché l’immagine che restituirà al Paese dipenderà tutto da quell’eventuale passaggio.