Caro direttore, ho letto l’articolo di Ivan Cavicchi sul Patto della salute e vorrei dire la mia.
Il nuovo Patto della salute, frutto di un accordo tra Regioni e Ministeri della Salute e dell’Economia e Finanze, introduce tre importanti novità: certezza di budget per tre anni che consentirà di riprogrammare il sistema sanitario, senza alibi per le Regioni; secondo, una spending all’inglese, cioè la possibilità di reinvestire nel sistema salute i risparmi effettuati e individuati anche dal tavolo Cottarelli; terzo, la sanità digitale che ci permetterà di entrare in ogni singola azienda italiana con una task force ad hoc, per un tempo limitato, per mettere a posto organizzazione e conti.

E’ un importante passo avanti anche culturale: le politiche sanitarie tornano in capo al ministero della Salute, dopo anni di gestione del Ministero dell’Economia, e senza dover cambiare la Costituzione.
Il Prof. Cavicchi sa che la riforma del Titolo V ha modificato l’Ordinamento in senso federalista. Il nuovo Patto per la salute 2014 – 2016 sancisce il principio che la salute è un valore e non un costo puntando all’efficienza del Servizio sanitario nazionale, all’appropriatezza e alla qualità del medesimo servizio.

Quando abbiamo cominciato a lavorare alla scrittura del nuovo Patto, tutti gli attori coinvolti erano perfettamente consapevoli che il Sistema sanitario nazionale ha bisogno di interventi riformatori, senza i quali non siamo in grado di garantirne la sostenibilità.

Il nuovo Patto prevede il rafforzamento dell’assistenza territoriale, dell’assistenza domiciliare integrata, la riorganizzazione delle cure primarie, l’integrazione tra sistema di emergenza urgenza e servizi di continuità assistenziale e molto altro. C’è poi l’impegno a completare, entro dicembre prossimo, l’aggiornamento dei LEA, che i pazienti attendono da oltre dieci anni.
Cavicchi dice che «il Patto avrebbe dovuto partire dalle conclusioni della Corte dei Conti, mettendo al centro dell’intesa il problema della mala gestio». Egli sa bene che la “mala gestio” non è una questione filosofica, ma appartiene ai cattivi comportamenti dei singoli amministratori, e può essere contrastata solo attraverso una rigida selezione delle persone e lo sviluppo di comportamenti virtuosi.

Ed il Patto va proprio in tal senso.

Infatti per le Regioni impegnate nei piani di rientro è stato previsto che il Commissario ad acta, se riscontra il mancato raggiungimento degli obiettivi, propone la decadenza dei direttori generali assieme ai direttori amministrativi e sanitari. Altra grossa novità: il Commissario ad acta non potrà più essere il Presidente della Regione, né altra figura politica di riferimento, bensì un professionista in possesso di un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati raggiunti in precedenti esperienze.

C’è poi nel Ddl del ministro Madia la mia proposta di riforma della governance volta a spoliticizzare le nomine della dirigenza sanitaria.

A differenza dei precedenti, il nuovo Patto sarà costantemente “monitorato” da una Cabina di regia che verificherà l’attuazione di tutti i provvedimenti, avvalendosi di un apposito Tavolo tecnico, istituito presso l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, che dovrà anche verificare l’applicazione delle misure in campo sanitario sulla revisione della spesa, in linea con le indicazioni del Governo.

Ovviamente il Patto non può essere la panacea di tutti i mali né cancellare in un attimo decenni di storia della sanità italiana, storia purtroppo connotata anche da cattiva gestione e, sul fronte dei Governi, da tagli indiscriminati al Fondo sanitario nazionale.
Per tutti questi motivi sono convinta che il nuovo Patto costituisca la nostra certezza e la base da cui occorre ripartire per una sanità migliore.

L’autrice è la ministra per la Salute

 

Leggi qui la replica di Ivan Cavicchi.