Ci eravamo illusi che i mesi più duri della pandemia ci avessero fatto capire quanto interdipendenti siano le nostre vite. Che spazio potevano ancora avere progetti di divisione o di separazione territoriale? C’eravamo appunto illusi.
Mentre Matteo Salvini distraeva l’opinione pubblica mescolando le tre carte dell’immigrazione, delle tasse e del green pass, i suoi ministri al governo portavano avanti indisturbati il progetto di autonomia regionale differenziata. Come hanno richiamato su questo giornale Ivan Cavicchi e Massimo Villone, una manina, spregiudicata e ottusa, è intervenuta per integrare la lista dei collegati alla Nota per il Documento Economia e Finanza 2021 con il Ddl recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Cost.” senza che nessuna voce si alzasse dall’interno del governo, tanto meno quella del premier Mario Draghi.

Sembrava lontano quel febbraio 2018 quando il governo morente di Paolo Gentiloni, assecondando la maldestra e sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra nel 2011, siglava una pre-intesa con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, concedendo piena potestà legislativa e risorse finanziarie aggiuntive su politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente, rapporti internazionali e con l’Unione europea. L’accordo, raggiunto dal sottosegretario del Pd Gianclaudio Bressa per conto dell’esecutivo, stabiliva che le risorse economiche da destinare alle tre regioni fossero determinate sulla base di fabbisogni standard “in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturato nel territorio regionale”. Fissava pertanto un principio inedito perché per la prima volta nella storia nazionale il finanziamento dei servizi pubblici veniva rapportato, oltre che alla popolazione residente, al gettito fiscale prodotto in un determinato territorio.Una volta accolto questo assurdo e iniquo principio, cioè che le imposte e le tasse debbano essere in buona misura spese là dove sono state riscosse, il processo di disintegrazione sociale così avviato potrebbe essere senza fine: all’interno delle regioni le città più ricche e all’interno di una stessa città i quartieri più benestanti.

Acconsentendo alla richiesta di autonomia differenziata avanzata dalle tre regioni dove vive un terzo degli italiani e si produce poco meno del 50% del Pil nazionale, gli effetti che si produrrebbero sul resto del Paese, e in particolare sul Mezzogiorno, sarebbero devastanti. Si avrebbe un flusso di risorse nella direzione perfettamente opposta a quella richiesta da una maggiore coesione e perequazione territoriale, accentuando le già forti diseguaglianze.

L’autonomia regionale differenziata, impeccabilmente definita da Gianfranco Viesti come la secessione dei ricchi, è tuttavia un obiettivo miope anche per i soli interessi degli italiani del nord. Abbiamo dimenticato la lezione della Storia. Nel Cinquecento la penisola italiana aveva raggiunto livelli di ricchezza unici nel mondo e il secolo precedente era stato ribattezzato “dei Genovesi” ma le potenti città-stato italiane, inclusa la dominatrice dei mari, Venezia, risultarono poi troppo piccole di fronte all’emergere degli stati nazionali. Restituirsi a un passato di staterelli vassalli, tanto più nel panorama attuale dominato dalla presenza di pochi giganti, Usa e Cina in primo luogo, sarebbe un errore che pagherebbero le future generazioni.
Se questa è la posta in gioco, è tempo che la politica abbandoni ogni ambiguità. Mara Carfagna, ministro per il Sud e la coesione territoriale, ha dichiarato di non essere contraria all’autonomia differenziata a patto però che non significhi penalizzare le aree più deboli del Paese.

Non c’è più spazio per questi giochi di parole. Esca dall’ambiguità anche il Pd. Faccia sapere al Paese se condivide la scelta del presidente emiliano, Stefano Bonaccini, che ha sposato la causa dell’autonomia differenziata chiedendo per la sua regione “la gestione diretta e con risorse certe” di 15 competenze (contro le 23 chieste da Lombardia e Veneto) tra le quali quella sulla salute. Soprattutto non si lasci il compito di contrastare questo progetto di disarticolazione nazionale al solo Mezzogiorno e alla sua classe dirigente, se mai ne avesse una all’altezza del momento, perché la questione riguarda il futuro del Paese nel quale viviamo.