L’armistizio fra Renzi e il variabile mondo della sinistra Pd, perlomeno  fino al voto del 25 maggio, era praticamente cosa fatta: il 28 a Roma nascerà la corrente dei «riformisti», bersaniani ed ex cuperliani in versione collaborativa; i giovani turchi da tempo sono sfilati dallo scontro frontale con il premier.
La pace era quasi fatta persino con i «professoroni» (copyright Renzi-Boschi). Al punto che ieri il premier, tornato al computer per il ’#matteorisponde, ha  twittato all’Anpi di Brescia che gli contestava il ddl senato: «Da iscritto all’Anpi dico che la riforma  proposta va nella direzione dei valori che tutti noi difendiamo». Senza alimentare polemiche, nonostante i partigiani abbiano organizzato per il 29 aprile a Roma un convegno contro, con parterre de roi  di «professoroni»: Rodotà, Carlassarre, Ferrara.
Invece ieri la renzianissima ministra Boschi, con una lettera al Corriere della sera, è tornata alla carica con la storia dei «frenatori»: «Insistere per l’elezione diretta» del senato è «un tentativo di bloccare la riforma». Di più: «Che la proposta venga dalla minoranza interna del Pd è poi particolarmente stupefacente, essendo proprio la minoranza Pd quella che ha chiesto e ottenuto alla Camera di eliminare dall’Italicum ogni riferimento alla legge elettorale del Senato proprio in forza dell’assunto per il quale il Senato non sarebbe mai stato elettivo».

La ministra «stupefatta» dunque attacca di nuovo. Benché i 19 dem che al senato tengono il punto sul testo Chiti siano sostenuti solo dall’area Civati, e non suscitino l’entusiasmo dei «riformisti», propensi  alla strada degli emendamenti. Ma le parole di Boschi  riaprono la polemica da capo. Vannino Chiti, il «frenatore» in capo si dice amareggiato: «Le riforme galoppano se c’è una ampia convergenza su delle soluzioni, e la maggioranza dei senatori è per un senato elettivo, quindi con il mio ddl le riforme galoppano e non vengono frenate. Il discorso di Boschi non regge». Miguel Gotor, bersaniano, non vicino a Chiti insiste: «Il muro contro muro del governo non aiuta. Il ministro Boschi invece di prendersela con quella parte del Pd che in commissione sta difendendo la riforma del Senato, compresa l’elezione di secondo grado, non sottovaluti i rapporti di forza che stanno emergendo dal dibattito in commissione». Stefano Fassina: «Invece di lanciare accuse di sabotaggio sarebbe utile che il governo facesse attenzione al merito dei problemi».

Le parole di Boschi sono fuori sicro, spiega Alfredo D’Attorre, fra i capofila dell’area riformista. «Il ministro valorizzi di più l’aiuto che sta ricevendo da molti della minoranza. Lasci perdere i richiami disciplinari e la concezione leninista del partito. Le convinzioni di  Chiti rispondono a valori profondi  sui quali l’ordine di corrente non serve  a nulla. La gran  parte della minoranza sta provando ad andare avanti ed aiutare il processo di rivisione costituzionale. Il ministro eviti di crearsi interlocutori di comodo, i nemici conservatori». Anche perché, conclude,   il risultato delle europee cambierà il peso dei partiti, soprattutto quello di Forza Italia e  del M5S. Allora  «ci sarà da rivedere il bipolarismo forzoso ed ipermaggioritario cui è ispirato l’Italicum». E  una Boschi troppo rigida rischia di fare la parte dell’ultima giapponese. Perché invece «Renzi ha già più volte dimostrato di avere la necessaria duttilità e flessibilità per rendersi conto delle circostanze che cambiano».