A distanza di un anno il crimine ambientale di Brumadinho, nello stato brasiliano del Minas Gerais, appare in tutta la sua dimensione. Sono 270 i morti ufficiali di questa tragedia legata all’attività mineraria. Ma per la comunità di Brumadinho, che si ritrova in piazza il 25 di ogni mese alle ore 12,30, l’ora del crollo della diga, i morti sono 272. Due donne travolte dal fango erano alla vigilia del parto e i due bimbi a cui non è stata data la possibilità di venire alla luce sono accomunati nel ricordo e nel dolore.

TRAGEDIA UMANA e ambientale la cui responsabilità ricade interamente sulla società mineraria brasiliana Vale. La Commissione parlamentare d’inchiesta ha accertato che l’impresa conosceva i rischi a cui era soggetta la struttura a causa della sua instabilità, ma non attuò le misure necessarie per garantire la sicurezza dei suoi lavoratori e della popolazione.

Il crollo della diga ha prodotto l’immissione di 13 milioni di metri cubi di fango tossico nel Rio Paraoeba, inquinandolo per 300 km e coinvolgendo 48 municipi e 1,3 milioni di persone che si trovano lungo il suo corso. Organizzazioni ambientaliste e movimenti sociali del Brasile hanno lanciato la campagna «Gennaio marrone», come il colore del fango delle miniere di ferro, perché questo mese diventi nella coscienza collettiva «un mese di lutto e di lotta», per ricordare che l’attività mineraria predatoria e il modello estrattivista distruggono comunità e ambiente. Un comitato composto da 350 abitanti delle zone colpite dal crollo della diga si è messo in marcia da Belo Horizonte a Brumadinho, percorrendo i 350 km che dividono le due città, per organizzare nei municipi coinvolti dal disastro una serie di dibattiti, seminari, attività culturali. A Citrolandia, un municipio a 20 km da Brumadinho, è previsto un incontro con Lula.

25 gennaio 2020, il ricordo delle vittime a Brumadinho (Ap)

La tragedia mineraria di un anno fa ha riaperto il dibattito sulle attività minerarie in Brasile e il loro impatto su popolazioni e ambiente. A Belo Horizonte oggi, nel primo anniversario della tragedia, si è tenuto un incontro organizzato dal MAB (Movimento per la difesa delle popolazioni colpite dalla costruzione di dighe), dal MST (“Sem Terra”) e dalla Diocesi della città, sul tema: «Per una ecologia integrale a Brumadinho». Il recente Sinodo sull’Amazzonia aveva affrontato i problemi ambientali legati all’attività mineraria e i diritti violati nelle aree di estrazione.

LA VALE È LA PIÙ GRANDE impresa a livello mondiale per l’estrazione di ferro e nichel, controlla in Brasile 133 dighe di contenimento legate all’attività mineraria e l’80% si trova in Minas Gerais. Almeno una decina sono considerate ad alto rischio perché costruite col sistema “a montante”, come quella di Brumadinho, provocando nelle popolazioni uno stato di allarme permanente. La società mineraria brasiliana in questi decenni ha realizzato profitti elevati, operando senza riguardo per l’ambiente. Nel 2018 l’utile è stato di 5,7 miliardi di euro. Ora deve fare i conti con le richieste di risarcimento che arrivano da comunità che hanno subito danni irreparabili. Ma la Vale sta utilizzando tutte le forme per limitare gli indennizzi, ricorrendo allo strumento delle «donazioni» piuttosto che riconoscere un indennizzo che vada avanti fino alla riparazione del danno.

Secondo le fonti ufficiali sono 98 mila le persone che ricevono dall’impresa una indennità mensile pari a un salario minimo per la durata di un anno. Il periodo sta per concludersi e il numero di coloro che la percepisce rappresenta meno del 10% delle persone coinvolte nel disastro. Inoltre, a dicembre la Vale ha tagliato del 50% il sostegno emergenziale che era stato riconosciuto agli abitanti che vivevano nel raggio di un chilometro dalla diga crollata. E ancora, le estenuanti trattative condotte dalle famiglie delle vittime (operai dell’impresa e residenti del centro abitato colpito) per un risarcimento che non offenda la memoria di chi è stato ucciso.

NEL LUGLIO 2019 una prima sentenza ha condannato l’impresa al risarcimento dei danni, precisando che «le somme da pagare non si limitano a risarcire le persone, ma anche gli effetti sull’ambiente locale e regionale, oltre ai danni sull’attività economica della zona». Il tribunale ha anche disposto il congelamento di 2,5 miliardi di euro a garanzia del risarcimento. I dati forniti dalla Vale indicano che, per far fronte al disastro di Brumadinho, nel 2019 è stata devoluta una somma pari a di 1,5 miliardi di euro per indennizzi e riparazioni. Ma si tratta di un importo che è inferiore a quello che sarà distribuito agli azionisti per il 2019, che è di 1,6 miliardi di euro.

IL FUTURO È INCERTO per le popolazioni dei municipi coinvolti e le misure riparatorie rappresentano poca cosa rispetto all’entità del danno. La contaminazione del Rio Paraopeba ha avuto un impatto umano e ambientale che avrà conseguenze per decenni. Tutti gli equilibri dell’ecosistema sono stati stravolti. La fauna del fiume e la vegetazione hanno subito gravi alterazioni.

L’acqua del fiume non può essere usata neanche per irrigare i campi, con la distruzione dell’agricoltura familiare di una vasta area. Il contatto diretto e indiretto con i metalli pesanti presenti nei rifiuti minerari, attraverso acqua e alimenti, avrà conseguenze anche sul lungo periodo e le comunità chiedono con forza un monitoraggio prolungato nel tempo delle condizioni di salute delle persone che vivono nelle aree più inquinate.