Malgrado le dichiarazioni ottimiste della Commissione, che vede l’Europa uscire dalla crisi grazie alla cura di rigore, questa continua e rischia di entrare in una nuova fase, trasformandosi in deflazione. Un rischio di deflazione che potrebbe permanere fino al 2020-2025. I problemi non sono scomparsi, ma si sono spostati: l’austerità ha portato a una riduzione dei deficit, ma le divergenze tra le economie della zona euro si aggiustano con il persistere della disoccupazione di massa, soprattutto nei paesi in maggiore difficoltà. La crisi viene cosi’ alimentata, fomentando la povertà, con la riduzione dei salari, già in atto nei paesi periferici del sud dell’Europa. La svalutazione non è dell’euro, ma avviene attraverso i salari. E’ questa l’analisi del secondo Survey indipendente Iags 2014, realizzato da economisti dell’Ofce francese, dell’Imk tedesco e dell’Eclm danese. L’Iags propone, come già l’anno scorso, un’alternativa, nel rispetto dei trattati europei: una politica monetaria più espansionista, che permetta un calo significativo dello spread sui tassi di interesse; uno stimolo alla crescita con un programma di investimenti pubblici (trasporti, energia), con l’adozione di una “regola aurea” che escluda la spesa per investimenti dal calcolo del deficit; una traiettoria di riduzione dei deficit spalmata in tempi più lunghi; e, infine, delle politiche attive di lotta contro la povertà e le ineguaglianze crescenti, con freni alla deflazione salariale.

La crescita ha fatto un timido ritorno nella zona euro – non in tutti i paesi – ma resta ancora troppo debole per rovesciare il trend. La disoccupazione nella zona euro ha ormai superato il 12% e minaccia di durare per anni. Ci sono quasi 8 milioni di disoccupati in più alla fine del 2013 rispetto al 2007. E, se il rigore continua, avvertono gli economisti dell’Iags, ai ritmi di ripresa attuali ci vorranno ancora almeno 13 anni per tornare alla situazione occupazione del 2007, che non era certo favolosa. In Spagna e in Italia il pil pro capite è destinato ancora a calare, mentre dovrebbe tenere in Francia e aumentare un po’ in Germania. Il moltiplicatore delle scelte di austerità non fa che accentuare la crisi. Se dal 2011 la zona euro avesse adottato una strategia di più lungo termine per il rientro dei deficit – una riduzione dell’ordine dello 0,5% l’anno – avremmo un tasso di crescita intorno al 2,3%, con quasi due milioni di disoccupati in meno. Invece, il 2013 è stato ancora un anno di recessione. Perché questa scelta di accelerare i tempi? La risposta del rapporto Iags è che la zona euro ha ceduto alla pressione dei mercati, sui rischi di non sostenibilità dei deficit pubblici. Il risultato è che i dubbi su Grecia e Spagna persistono, e che i rischi di povertà hanno ormai contagiato molti paesi. La guerra sulla competitività, che si è scatenata tra i paesi della zona euro, finirà con il contagio della deflazione, visto che non ci sono margini nel commercio estero, con l’euro forte e il fatto che la zona euro è già eccedentaria nel commercio estero. I guadagni, cioè, non verranno dall’export, come ci promette la Commissione con il “modello tedesco”, ma attraverso riaggiustamenti all’interno della zona euro.

Il rapporto è sul sito: www.iags-project.org/