Mentre al Teatro Nuovo la sommessa e intensa mostra Con la febbre tra le ali ricorda l’artista Massimo Staich a un mese dalla morte, in altri spazi napoletani si è aperto il Campania Teatro Festival. Cambio di nome dopo tredici edizioni per quello che abbiamo conosciuto come Napoli Teatro Festival Italia, ma continuità nella direzione artistica, mantenuta da Ruggero Cappuccio per il quinto anno consecutivo. Quasi una garanzia per una manifestazione nata con i migliori auspici di un’ edizione Zero e sopravvissuta a fameliche e scellerate conduzioni.

A Cappuccio si riconoscere un’attenzione verso esperienze marginali del territorio e, forse complice la pandemia, un certo protezionismo, anche se a settembre il programma si aprirà a ospitalità internazionali. Intanto, per l’inaugurazione, alla Reggia di Capodimonte, è arrivata la coproduzione con il Teatro dell’Elfo di Milano, La morte e la fanciulla, che per il regista Elio De Capitani segna il ritorno, a distanza di vent’anni, al testo di Ariel Dorfman.

UN TESTO duro, inquietante, ossessivo, scritto dall’autore argentino-cileno nel 1991 – Roman Polanski ne fece una versione cinematografica nel ’95 – con la lucidità dell’esule-testimone dello scempio. Un testo qui gridato da Enzo Curcurù, Claudio Di Palma e Marina Sorrenti con la disperazione di chi non trova la via della riconciliazione, in un paese sudamericano non specificato all’indomani della caduta fascista.

Un uomo, avvocato-presidente della commissione d’inchiesta sui desaparecidos, e una donna, ex prigioniera, sono nel loro candido interno familiare, dove irrompe un gentile sconosciuto, nel quale lei riconosce il suo torturatore, un medico che la stuprava ascoltando il quartetto di Schubert La morte e la fanciulla.