La parola in sé, dal dialetto mesoamericano nahuatl, significa “ciò che si semina”. Attualmente indica semplicemente l’orto. Tra le tante pratiche tradizionali di agricoltura soppiantate dall’agricoltura attuale che è piuttosto agroindustria, la milpa, riscoperta ed adattata ai tempi nostri, è certamente la più interessante. Per la sua complessità e le sue interrelazioni tra fertilità del suolo, biodiversità ed ecosistemi complessi. Alla base della tecnica tradizionale ci sono tre fratelli, il mais, la zucca e i fagioli. Si tratta di seminare contemporaneamente queste tre specie. I fagioli, il genere rampicante faseolus coccineus, fagioli grandi dal fiore rosso, fissano l’azoto nel terreno e si arrampicano sul mais. La zucca con le sue larghe foglie protegge il terreno dall’insolazione eccessiva. Così come esistono numerose varianti in America Latina della milpa – questa pratica si è evoluta e muta sensibilmente da luogo a luogo – così essa si presta ad essere migliorata.
La variante da bocciare certamente – assurda ed impraticabile – è quella della milpa selvaggia, ovvero dell’usanza di bruciare una particella di jungla e coltivare sulle ceneri. Da considerare, al contrario, una pratica agroecologica da adottare ovunque è quella di allargare le specie, adottare la variante più ricca e suscettibile di migliorare il nostro suolo e la nostra alimentazione. Immaginiamo di aumentare le specie introducendo oltre alla zucca, ai fagioli e al mais, anche i girasoli, l’amaranto, il tagetes minuta ed il sorgo. Soprattutto adottiamo sementi tradizionali. Per il mais si può cercare il mais Hopi, altrimenti detto arcobaleno, ogni pannocchia è una festa di colori, per i girasoli quelli giganti, ne esistono di varietà d’altri colori che il giallo, per le zucche abbiamo a disposizione una quantità infinita di varietà, così come per i fagioli; quanto all’amaranto e al sorgo, il rosso nella milpa starebbe benissimo.

Abbandonare la coltivazione per file, eventuali insetti predatori o una tempesta trovano le file dritte gli uni una comoda mangiatoia, l’altra l’abbatte molto facilmente. Coltivare più specie sapientemente, creare una sorta di jungla domestica ci offre il vantaggio di risparmiare acqua, una milpa ben concepita può proteggersi dalla calura e diminuire fortemente le innaffiature, introduce una varietà che è garanzia di mutuo aiuto tra le piante, ci assicura un raccolto diversificato e facilita la coltivazione. Sarà nostra cura diversificare ancora, a seconda del luogo dove ci troviamo e del tipo di terreno che abbiamo, e introdurre altre specie. Le popolazioni precolombiane vivevano egregiamente con questa agricoltura che non contemplava il tracciare le file tutte dritte. Una milpa nel pieno del suo sviluppo è un rigoglioso e colorato intrico verde. Anzi, non solo verde. La questione del cambiamento climatico ci impone di pensare a pratiche che siano meno o affatto idrovore, la milpa è una di queste.

Seminare contemporaneamente fagioli, mais, zucche, girasoli, amaranto, scegliendo le varietà più resistenti alla siccità, magari aggiungendo i cetrioli rampicanti, è una buona opzione e seminare in maniera circolare, meglio ancora. Nella mia esperienza, la milpa è non solamente un modo di coltivare, è soprattutto una maniera di creare, in questo accostamento intelligente di specie, una sorta di meraviglioso luogo dall’aspetto talmente florido da apparire selvaggio essendo, invece, frutto di fantasia ed intelligenze altre e millenarie. Provateci, magari cominciando con un piccolo appezzamento, poi, sono certo, prenderete dimestichezza e vi innamorerete di questa apparentemente selvatica, tutta domestica bellezza.