Dal 2 gennaio una ventina di miliziani armati occupa una riserva naturale sull’altipiano brullo e gelato del Great Basin in Oregon sfidano il governo degli Stati uniti e dichiarandosi pronti a morire. Integralisti «western» che qualcuno, modificando una caratteristica locuzione idiomatica regionale, ha genialmente ribattezzato «Y’all Qaeda». La rivolta è un replay di un’ analoga sfida fra allevatori e agenti federali avvenuta in Nevada nel 2014 quando un anziano rancher, Clive Bundy, si era asserragliato nella propria fattoria per impedire il sequestro del suo bestiame per una questione di tasse non pagate. All’epoca Bundy era diventato simbolo ed eroe del movimento antigovernativo cui fanno capo molte formazioni conservatrici che confluiscono nello zoccolo duro della destra «popolare».

I due figli di Bundy, Ryan e Ammon, sono ora a capo di un paio di dozzine di uomini in tute mimetiche e armati di fucili e pistole che non hanno avuto difficoltà ad impadronirsi della torre di avvistamento, dei tavoli da picnic e del piccolo museo ornitologico di Malheur mantenuto dalla forestale e saltuariamente visitato da appassionati pensionati o dall’occasionale scolaresca.
Il centro visitatori si trova sull’altipiano dell’Oregon centrale, a 50 km dal paese più vicino: Burns, abitanti 2782. Il pretesto per l’azione dimostrativa è stato l’arresto di due allevatori locali, Steven Hammond, 46 anni e suo padre Dwight Hammond di 73 anni, condannati per avere appiccato incendi ai terreni demaniali su cui pascolavano le loro bestie. I due hanno già scontato pene di un anno (quattro mesi per l’uomo più anziano) ma una corte d’appello ha deciso di imporre la pena massima di 5 anni e di ordinare il nuovo arresto.

La punizione «esemplare» è l’ultimo atto di una contesa che vede contrapposti nei grandi spazi dell’ovest allevatori e feds in una regione dove il governo federale detiene la grande maggioranza dei terreni demaniali concessi in usufrutto a fronte di tariffe sovvenzionate per il pascolo.

Il diverbio ha coalizzato l’area di dissenso antigovernativo iperlocale e vagamente «irredentista» che vede nelle «angherie del latifondo statale» il simbolo dell’oppressione governativa contro l’indipendenza dei cittadini. Un casus belli per l’arcipelago patriota-conservatore che alimenta l’estremismo liberista.

Il southern Poverty Law Center stima che il “movimento patriota” cui fanno capo i barbuti cowboy ribelli di Malheur sia passato sotto l’amministrazione Obama da 150 formazioni ad oltre 1000, fra cui 276 milizie armate. I Bundy che dal loro fortino ornitologico lanciano appelli ai «patrioti di tutta America» sono un po’ banda Dalton e un po’ armata Brancaleone con una eventuale vocazione al martirio. Dal santuario faunistico «disgrazia» fanno sapere di non volersi arrendere fin quando lo stato non vorrà fare non meglio precisate concessioni, tali da permettere ai «liberi cittadini» di tornare a godere delle proprie terre e «perseguire in pace la felicità». La citazione costituzionale è obbligatoria nella retorica antigovernativa che reputa un testo sacro la carta costituente, soprattutto come autodifesa dallo stato. Ne segue in particolare l’idolatria del secondo emendamento. Anche in Oregon quindi l’ostentata libertà del porto d’armi è al centro del discorso ideologico. E nel momento dell’azione restrittiva di Obama, l’esibizione rituale delle armi da fuoco è adottata a supremo simbolo di libertà individuale.

Sono i precetti di una cultura in cui si fondono fondamentalismi ideologici e religiosi anche questi ultimi di estrazione regionale. Intervistato dalle Tv, un ribelle di guardia al posto di blocco si presenta come «capitan Moroni», il nome di un profeta mormone, la religione dei Bundy (anche Ammon è il nome di un condottiero che nella esoterica cosmologia del Libro di Mormon ha un ruolo di rilievo nella antica civiltà fondata da profughi israeliti in Centro America). Il mormonismo non solo ha il suo centro spirituale nella regione del Great Basin ma incorpora elementi di paranoia antigovernativa con radici nella fuga «biblica» dei mormoni perseguitati a Salt Lake City (capitale di un ipotetico stato sovrano mormone contro il quale nel 1857 vennero spedite truppe federali).

La mentalità da stato d’assedio (comune a tante destre populiste occidentali) è evidente negli appelli di Ammon Bundy ai cittadini di Burns ai quali ha detto di essere stato guidato da dio alla autodifesa «contro il governo o un’eventuale invasione dell’Onu» (altra bestia nera dei «patrioti»).

Nella lucida follia si esprime il fondamentale distacco culturale di un’America lontana secoli e anni luce da quella urbana e multietnica che, pur spaccata a metà, sta per disputarsi l’elezione di un nuovo presidente. La distanza incolmabile fra questo hinterland remoto e un’America che è andata avanti lasciandosi indietro gli anacronistici figli del «destino manifesto» che oggi inveiscono contro il governo ladro.

La ribellione «bianca» dell’Oregon sottolinea anche la distanza fra un’America che sancisce senza processo l’uccisione di un bambino di 12 anni che impugna una pistola giocattolo e quella che permette ad eccentrici cowboy di sventolare – impunemente per ora – carabine e pistole da edifici governativi occupati.

Per quanto minuscola, insomma, la milizia dell’Oregon rappresenta correnti profonde con cui dovranno fare i conti non solo l’Fbi – ma in qualche modo tutto il paese.