Chi l’avrebbe mai detto che nel cielo terso di un pomeriggio qualsiasi di autunno sarebbero esplosi i fiori della Primavera del Botticelli, germogliando tra tuoni e cavernosi boati. Una cascata rossa di boccioli accompagnati da lunghi steli verdi in piazza Michelangelo, a Firenze, ha raggiunto le (poche) nuvole presenti, «sparando» in alto il Rinascimento italiano – e la palette dei suoi colori -, fra lo stupore del pubblico assiepato lungo l’Arno.

COSÌ, L’ARTISTA cinese Cai Guo Qiang, il visionario scalatore di mondi con i suoi fuochi d’artificio, ha deciso di rendere omaggio ai grandi pittori fiorentini di quell’epoca che «pose al centro l’uomo permettendogli di sguinzagliare le sue emozioni e sentimenti». Da sempre immerso nello spirito del feng shui, questo performer e illusionista di quel particolare periodo storico ama la possibilità di vedere con i propri occhi la realtà, confidando nella produzione libera di pensiero e nelle istanze filosofiche.
Se le esplosioni sono state la carta da visita dell’artista cinese (nato a Quanzhou, provincia di Fujian, nel 1957), i semi delle antiche piante e, soprattutto, l’idea di giardino rinascimentale sono il palinsesto sul quale ha lavorato, mese dopo mese, per dar vita alla mostra Flora Commedia, alla Galleria degli Uffizi (fino al 17 febbraio 2019, a cura del direttore della pinacoteca Eike Schmidt, con Laura Donati, che guida il Gabinetto stampe e disegni degli Uffizi).
L’esposizione è orchestrata come una immersione nell’utopia dell’Umanesimo: in una infilata di dieci stanze si susseguono diverse tappe che immaginano altrettanti giardini, dai campi di girasole toscani alle elegie d’amore fino alle nebulose di acheni prodotte dai denti di leone o alla margherita affumicata nella sala che ricorda la «nigredo» alchemica.

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VAGANDO IN QUEI PRATI disegnati con giochi pirotecnici, Cai Guo Qiang scopre risonanze con Leonardo da Vinci, Botticelli, lo stesso Caravaggio (la sua «camera» ha il colore, violento, del sangue), le collezioni della famiglia dei Medici. «Con Caravaggio condivido la ribellione. Se guardo alla sua storia, posso dire che ci assomigliamo. Non sopportava troppe regole, faceva di testa sua – dice l’artista -. È per questo motivo che ho cominciato a lavorare utilizzando la polvere da sparo. È il materiale più anarchico che esista, non si può controllare, è imprevedibile, non puoi sapere dove andrà a finire la sua azione. Ogni opera è preceduta da infiniti fallimenti, da molti scoramenti e dalla necessità di riprovare e ripartire da zero». Una lezione di umiltà, ogni volta, accettando la temporalità capricciosa di scoppi, fuochi e bruciature. Se, infatti, all’inizio con un coltellino intaglia la tela per tracciare i contorni dei soggetti desiderati, l’esplosione provocata poi muta i connotati e reimpasta a modo suo quell’incipit «disciplinato».
Guo Qiang ha sempre intorno a sé i maghi dei fuochi d’artificio e in quel suo operare effimero per produrre meraviglia (è stato l’artefice della spettacolare apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, insieme a Zhang Yimou) si riconnette alle radici della tradizione cinese. «Da noi, ogni evento festivo – dai matrimoni alla nascita di un bambino, fino ai riti religiosi – viene sottolineato da gioiosi momenti pirotecnici».

IN OCCIDENTE, l’esplosione è associata a un immaginario infarcito di guerra e morte; per lui invece è la promessa e la fioritura celeste di un nuovo mondo. Come dice anche il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, è «una sinfonia musicale, qualcosa che crea e non distrugge».
D’altronde, l’artista non ha dimenticato mai le sue origini. Suo padre era un pittore calligrafo e anche un testardo accumulatore di libri (spesso redarguito dalla famiglia perché dissipava i soldi in pagine e pagine da leggere, come scopriamo nel magnifico documentario Sky Ladder). Molti li ha dovuti bruciare con l’avvento della Rivoluzione cinese e Cai, allora bambino, non poté che aiutarlo in quel triste falò.
È così, forse, che dentro di lui ha maturato l’idea delle ceneri da cui far rinascere la vita. La polvere da sparo ha anche una valenza alchemica, di metamorfosi dei piani di realtà.

«ERO ALLA RICERCA di una energia che potesse sconvolgere lo stato delle cose. Volevo viaggiare all’interno della storia dell’arte ritrovandone la naturalezza», dice per spiegare questo suo percorso a ritroso, dentro il Rinascimento italiano. Firenze, del resto, è solo una tappa di un ambizioso progetto in cui rivisiterà con i fuochi d’artificio i cardini della cultura occidentale, tuffandosi nella Grecia antica e nel Medioevo europeo. «Le improvvisazioni sulla tela con la polvere da sparo mi riconsegnano la vera sostanza umana: per quanto civilizzati possiamo essere, rimaniamo animali, con sensibilità, desideri e ormoni. È un istinto selvaggio che si risveglia, la nostra natura originaria».

NEGLI UFFIZI ha fatto sbocciare di nuovo i fiori del passato, lasciando che i petali vorticassero liberi nell’aria. «I botanici di Boboli hanno ripiantato le specie per me, le hanno fatte ricrescere – racconta l’artista – E quando le ho viste, ho capito che un giardino del Cinquecento era molto diverso dai parchi cui siamo abituati oggi. I fiori erano più primitivi, non addomesticati nelle serre, le loro forme non erano perfette né belle, eppure sprigionavano una loro malia».
Cai Guo Qiang, un po’ come il bulgaro Christo, non ritiene che le sue opere debbano essere imperiture. Molto legato al Giappone (anche il suo direttore tecnico è nipponico, Tatsumi Masatoshi), persegue la poetica dell’impermanenza in tutti i suoi lavori, scava per arrivare all’assenza, inscena leggende e, intanto, sogna. Come con la sua scala di fuoco, tesa tra il mare di un piccolo borgo di pescatori e la notte stellata. Un regalo, quasi un vaneggiamento, per la nonna centenaria, portata con la sedia a rotelle ad assistere al compiersi di quella fantasticheria. Pochi mesi dopo, morirà.