Tutto è iniziato nel 2001 con un viaggio rocambolesco in furgone lungo la via balcanica per portare cibo e medicinali a un’associazione animalista in Romania, sull’onda emotiva del massacro di cani che era in atto come unica soluzione al problema del randagismo che aveva assunto proporzioni gigantesche. Sin dal confine con la Serbia, quelle strade disseminate di cani, vivi e morti, hanno fatto capire a Sara non solo che quel gesto era una goccia in mezzo all’oceano, ma che lei stessa aveva appena imboccato una strada che non sarebbe più riuscita ad abbandonare.

DOPO 19 ANNI C’E’ UNA CLINICA veterinaria stabile, un rifugio per cani e gatti abbandonati, un sistema di adozioni internazionale, accoglienza e assistenza domiciliare anche per asini e cavalli maltrattati, programmi educativi. 45 mila animali salvati tra cure, sterilizzazioni e adozioni. Tutto questo ora si chiama Save the dogs, ed è nato dall’enorme forza di volontà, dall’incredibile ostinazione e dall’infinita passione di una donna. Sara Turetta, fondatrice e presidente dell’associazione, ha abbandonato un lavoro stabile e una carriera, si è trasferita per 4 anni da sola in una delle zone più povere della Romania ed ha affrontato una guerra. La racconta nel libro I cani, la mia vita, pubblicato da Sonda Editore, autobiografia i cui diritti d’autore saranno naturalmente tutti devoluti all’associazione.
Un libro che racconta anche un paese, cosi vicino geograficamente e così intrecciato al nostro ma allo stesso tempo così lontano, ancora smarrito in una dimensione passata.

La Romania, paese per cui nutro un attaccamento e un affetto fortissimi, non è ancora riuscita a liberarsi degli strascichi del regime da cui è uscita 30 anni fa. Oltre alla corruzione, che nonostante i passi in avanti compiuti dalla nuova presidenza rimane a livelli altissimi, c’è la mentalità nefasta che la dittatura ha lasciato: la menzogna è una pratica normale, ereditata anche come strategia di sopravvivenza a un sistema oppressivo; la mancanza di una cultura del lavoro, dovuta al fatto che si riceveva uno stipendio indipendentemente dal proprio impegno; la deresponsabilizzazione dei singoli. Questo atteggiamento ha conseguenze anche sul fenomeno del randagismo perché la facilità con cui qui si abbandona un cane non ha pari in nessun altro paese europeo. La regione dove operiamo è particolarmente depressa: le donne lavorano molto più degli uomini e moltissimi imprenditori rumeni ed europei reclutano dipendenti fra gli altri paesi, come Bangladesh e Cina, e questo ha un impatto fortissimo sull’economia.

Il progetto è stato d’esempio per altre esperienze? Credi abbia contribuito a un avanzamento nella cultura del rispetto degli animali?

Sicuramente siamo diventati un punto di riferimento per le associazioni animaliste rumene: ci vengono a trovare per fare formazione, chiedono consigli. Con i nostri standard, che sono al livello di quelli nord europei, stiamo dando un’immagine più elevata di quella che è la protezione degli animali in un paese dove questa attitudine sta ancora muovendo i primi passi. L’impatto maggiore è quello che abbiamo sui bambini: ogni anno tra aprile e giugno portiamo circa 500 bambini a visitare la struttura, forniamo materiali educativi sulla gestione corretta degli animali domestici, spieghiamo perché e come gli animali vanno protetti. Questo non si traduce subito in risultati, sono processi lunghi ma sono sicura che aiuti a cambiare le cose.

Nel libro racconti delle difficoltà che hai dovuto affrontare. In questo momento di cosa avete maggiormente bisogno?

Ti dico solo che Brigitte Bardot, che a suo tempo aveva lanciato l’allarme e aperto un canile a Bucarest, dopo 4 anni l’ha chiuso definendo la Romania un paese dove è impossibile lavorare a causa della corruzione e dell’inaffidabilità, e lei ha alle spalle una struttura molto più solida. In questo momento la nostra emergenza è la carenza di personale specializzato, abbiamo un bisogno disperato di veterinari, in Romania non si trovano, la maggior parte se ne va in Inghilterra. Faccio proprio un appello: abbiamo bisogno di veterinari, l’ideale sarebbe per minimo un anno ma accettiamo anche sei mesi, ovviamente con un contratto e condizioni più che dignitose, perché in questo momento siamo allo stremo, anche a causa delle ripercussioni che l’emergenza Covid-19 ha avuto sugli spostamenti. In generale la pandemia ha avuto un impatto enorme: a causa del lockdown abbiamo dovuto interrompere tutte le attività tranne quelle di pronto soccorso, abbiamo perso lo staff medico straniero perché sono dovuti rientrare nel loro paese, in più è stato limitato il preziosissimo lavoro porta a porta, ci possiamo muovere solo in casi molto gravi. Di conseguenza i numeri del nostro lavoro sono crollati, anche se non ci siamo mai fermati ad organizzare le adozioni internazionali, in caso contrario il nostro centro sarebbe esploso. Poi abbiamo una cronica necessità di fondi oltre che di personale: per questo abbiamo dovuto interrompere un progetto meraviglioso, quello della clinica mobile, con cui per 10 anni siamo andati nelle campagne dove c’è una povertà per noi inimmaginabile. Sterilizzavamo e curavamo i cani tenuti nei cortili in condizioni spaventose; io sogno di riattivarlo perché è anche un lavoro di sensibilizzazione e attenzione nel complesso verso le zone rurali che sono abbandonate a loro stesse.

A questo proposito come rispondi a chi osserva che esistono cause più nobili ed urgenti a cui dare una risposta?

Io trovo un collegamento fra i livelli di randagismo con altri problemi sociali gravi della Romania ,come i minori e gli anziani abbandonati o la violenza sulle donne (il 30% delle donne rumene ha subito violenza domestica, è il livello più alto in Europa), situazioni su cui esistono degli interventi strutturati e finanziati che comunque non riescono ad arrivare dappertutto. La mia risposta è che non dobbiamo dividere le cause, dietro tutte queste situazioni c’è una questione di fondo che è quella dei valori condivisi della società. Nel momento in cui sono perseguiti l’empatia, l’equità, il rispetto della vita, la compassione, la giustizia sociale, ogni tipo di impegno diventa utile. E’ quello che stiamo insegnando ai bambini e alle future generazioni. Anche chi si occupa di animali sta contribuendo a costruire una società migliore.