Valido Capodarca, lei è stato fra i nostri primi cercatori d’alberi secolari, nei primissimi anni Ottanta. Allora il mercato editoriale era molto distante dalla sensibilità verde che manifesta in questi ultimi anni. Ma cosa l’ha portata a sentirsi in comunione coi patriarchi vegetali e a ricercarli con tanta passione e costanza?

È un amore nato per gradi. Quello per la natura nasce con la mia infanzia, nel dopoguerra, con nonni paterni e materni contadini e l’alveo dell’Aso come unico parco giochi fino all’adolescenza.

L’amore per gli alberi, invece, reca un momento preciso di un giorno di giugno 1979. Tenente dell’esercito, assistevo a un’esercitazione di carri armati. Vedendo un carro che, avanzando, schiacciava tutti gli alberi avanti a sé, esclamai, rivolto a un collega: «Povere quercette!»

«Ma tu conosci gli alberi?» domandò lui. «Certo! Tutti!» risposi sicuro ma, guardando gli alberi attorno, mi accorsi della mia totale ignoranza.

Tornato in sede e acquistato un manuale, cominciai a girare per giardini e parchi per identificare ogni albero. Uscendo con i miei figli, quando venivo colpito dalle dimensioni di un albero, scattavo loro una foto con i bimbi vicino.

Nell’ottobre del 1979, riordinando gli album di famiglia, estrapolai le foto con questi alberi e decisi di realizzare un album di foto solo di alberi eccezionali. Esauriti quelli conosciuti, cercai pubblicazioni o elenchi già esistenti: niente! Cominciai a telefonare a tutte le stazioni forestali di Toscana e Marche chiedendo a ognuna se avessero soggetti utili nel loro territorio. Gli album crescevano di numero ma, visitando gli alberi, i proprietari mi raccontavano storie e aneddoti su di essi: fu qui che compresi che ogni albero ha una vita e una storia, come noi. Così, vicino alle foto, scrivevo questi racconti. Nella primavera del 1981, resomi conto di aver in pratica scritto due libri, proposi a Vallecchi di pubblicarli. Attilio Vallecchi assentì al libro sulla Toscana, condizionando quello sulle Marche al successo del primo. Ne diedi subito notizia agli amici forestali e questi, a luglio 1982, mi comunicarono che anche il loro Comando aveva indetto un censimento degli alberi monumentali.

A luglio 1983 veniva pubblicato Toscana, cento alberi da salvare, il cui successo determinava la pubblicazione di analoghi libri sulle Marche (1984), l’Emilia Romagna (1986) e l’Abruzzo (1988). Con l’uscita de Gli Alberi Monumentali d’Italia (1989-90) del Corpo Forestale dello Stato, Vallecchi decideva di chiudere la serie.

Nel 2001, con la Edifir riprendeva la serie di Alberi monumentali, che si sarebbe chiusa con l’Editore Roberto Scocco nel 2011.

Nell’arco di quattro decenni, una vita, secondo lei cosa è cambiato nella sensibilità degli italiani, rispetto alla natura? E rispetto ai grandi alberi?

A mio giudizio, più che la sensibilità, è cresciuta l’informazione. Basti pensare che all’inizio delle mie ricerche (1979) non era stato ancora codificato il concetto di albero monumentale, e neppure il nome, tanto che il Wwf li definiva patriarchi della natura, altri li chiamavano patriarchi verdi, alberi di interesse, alberi sacri, alberi maestri, o nei miei primi libri alberi da salvare. In pratica, fu il censimento del Corpo Forestale e conseguente pubblicazione a far prevalere il nome oggi corrente. Lo stesso censimento diede origine al fiorire di una letteratura sul tema, con l’uscita di volumi anche a livello provinciale, che portarono il pubblico a prendere coscienza dell’esistenza di queste creature.

L’avvento di Internet con tutte le sue applicazioni ha fatto esplodere il fenomeno, tanto che oggi si sta quasi accettando e riconoscendo l’attività amatoriale di «cercatore di alberi». La maggiore informazione non ha portato a una conversione delle coscienze, ma ha fatto venire alla luce l’amore latente per la natura in coloro che lo possedevano sopito, senza accenderlo in quanti non ne avevano neppure il germe. Molto positivo l’interesse delle scuole, che hanno portato le scolaresche a realizzare visite guidate alla conoscenza di questi alberi.

Più controverso, invece, il turismo verso l’albero monumentale quando la molla, più che l’amore, è la curiosità.

Ci racconti di un albero a cui si sente particolarmente connesso.

Molti cercatori di alberi hanno un albero del cuore. Per quanto mi riguarda è la Cerquatonda di Montalto Marche. Essendo vicina alla frazione Porchia, mio paese nativo, già da ragazzo sentivo mio nonno e gli zii parlare di un posto vicino chiamato Cerquatonda.

Quando decisi di realizzare un album di fotografie, dopo aver visitato gli alberi conosciuti, andai a verificare se al posto corrispondesse un albero reale.

La Cerquatonda c’era, bellissima, era in contrada Cerquatonda, via di Cerquatonda; le scuole si chiamavano «scuole di Cerquatonda». La circonferenza del tronco che misurai era pari a 5,30 metri. Il nome era dovuto al fatto che la sua chioma era un cerchio perfetto di trenta metri di diametro, in ogni direzione. Oggi la Cerquatonda c’è ancora, è dichiarata albero monumentale. Vicino hanno creato un agriturismo di nome Cerquatonda…