Il suo nome ha ritmato i passi di un paio di generazioni: «Giap – Giap – Ho Chi Minh». Anche di queste cose è fatto un mito: un nome che diventa suono e un suono che si rende autonomo dalla materia a cui si riferisce. Adesso che arriva la notizia della sua morte, a 102 anni, tanti di quelli di noi che scandivano col suo nome i cortei, e magari qualche volta non sapevano neanche tanto bene chi fosse, sono quasi sorpresi dal fatto che non si era dissolto insieme con quelle sfilate.

Giap-Giap era il suono di un sogno e di un mito che era una persona e una storia. Era vivo, anche se dopo tanto tempo non sapevamo più se lottava insieme a noi, o se noi lottavamo ancora insieme a lui.
Il Vietnam è stata una delle ultime volte in cui potevamo pensare di sapere da che parte stare, chi aveva torto e chi aveva ragione. Poi le cose si sono confuse, il Vietnam libero e rosso è stato diverso da come lo sognavamo, le tessere del «domino» sono cadute in direzione contraria a quella che immaginava la paranoia imperialista; ma il nome di Giap è indissolubilmente legato non solo a quel sogno ma soprattutto alla memoria di una volta almeno che «i nostri» hanno vinto. «Vietnam vince perché spara», abbiamo gridato. Giap aveva combattuto e vinto contro i francesi, i giapponesi e ora gli americani. Di quella rivoluzione, Ho Chi Minh era la saggezza e Giap era la forza.
La sua morte lo riconduce dal mito alla storia, gli restituisce per intero il suo nome. La sua lunga vita ha attraversato tutto il secolo breve e gli ha dato forma. È stato un secolo in cui spesso i deboli hanno osato sfidare i potenti e qualche volta hanno vinto. Per questo i vincitori di oggi vogliono ossessivamente esorcizzare il Novecento. Ricordare Giap, sapere che è esistito, magari anche rivedere (modificare, ma tornare a vedere) certe nostre immagini di allora, ci aiuta a non pentirci e ad essere orgogliosi del nostro tempo.
Dal 1993 Vo Nguyen Giap era cittadino onorario di Genzano antica cittadella rossa dei Castelli romani.