Presentato nella sezione Orizzonti alla mostra di Venezia 2015 Un Monstruo de mil Cabezas (Un mostro dalle cento teste) esce giovedì nelle sale grazie a «Cineclub internazionale» che ha fatto la decisiva scelta di distribuire i film in lingua originale con i sottotitoli e possibilmente presentati nelle varie città dallo stesso regista (Apollo 11 a Roma, Greenwich a Torino, Beltrade a Milano ecc.).
Abbiamo incontrato Rodrigo Plà, di cui avevamo apprezzato anche il precedente film La zona, (del 2007), uno dei pochi registi latinoamericani a mettere in scena lo scontro tra le classi sociali, tematica tanto presente e irrisolta nel tessuto sociale di vari paesi (il Cile oltre che il Messico) quanto poco messa in scena.

 

 

Ma le caratteristiche  di questo film sono in più un misto di espressione di violenza insita nella società e di humour nero che mostrano immediatamente la sua origine uruguayana e messicana di adozione: la famiglia Plà lasciò l’Uruguay al tempo della dittatura e si radicò in Messico, due influenze culturali che ritroviamo miscelate in vario modo anche in questo suo ultimo film: «Mi sono formato in Messico dove la presenza della violenza è importante, un paese che vive una situazione drammatica, con l’assenza dello Stato, di impunità totale, dove il cittadino è lasciato a se stesso. Abbiamo voluto trovare uno spazio per l’ironia perché anche nelle situazioni drammatiche si può notare un aspetto umoristico».
Un Monstruo de mil cabezas racconta di un uomo con un grave tumore, l’assicurazione pagata per sedici anni respinge d’ufficio le cure perché costano troppo. La protagonista, Sonia, donna d’azione, tira fuori la pistola e con un pacco di documenti sempre più voluminoso cerca di convincere medico e dirigenti a concedere quello che le è dovuto, una firma che le consenta di accedere alle medicine. L’accompagna il figlio adolescente, reticente ma protettivo, attraverso quelle location esclusive della classe alta (ville blindate nelle zone esclusive, club per tennis e squash), un labirintico percorso piuttosto complesso perché il punto di vista si diversifica per quanti sono i testimoni che hanno assistito alle minacce e agli spari: specchi e vetri, vapore e lenti, focali e movimento rendono la verità qualcosa di difficile da afferrare.

 

 

«Se c’è qualche similitudine con La Zona – dice – è per l’assenza dello Stato: ci piace trattare l’intimità di questi personaggi, raccontare come una donna disperata inizia a compiere azioni che vanno contro i suoi principi. Ci sono forse più similitudini con La Demora (il film del 2012 dove la protagonista non riusciva ad ottenere nessun sostegno statale per il padre colpito da alzheimer, ndr). Mi interessa raccontare la fragilità delle persone».
Bisogna ricordare  che i film realizzati da Rodrigo Plà (tutti hanno ricevuto una quantità di premi importanti), portano anche il nome di Laura Santullo (origini italiane) anche lei uruguayana figlia di militanti politici finiti in Messico, un pool creativo perfetto in cui lei, famosa scrittrice e formazione di attrice, lavora in sintonia con il marito: «Il detonatore del film è stato vedere The Corporation. A partire da quello Laura ha scritto un romanzo da cui abbiamo tratto la sceneggiatura. Il titolo si ispira a una frase del romanzo: un mostro dalle mille teste senza un cervello».

 

 

Cosa pensi del film di Ken Loach che in chiave anglosassone affronta anche il tema della sicurezza sociale? «Abbiamo in comune una preoccupazione per il sociale e l’approccio verso l’individuo, ma per quanto mi riguarda in modo più intimo, in questo caso una donna che intraprende una battaglia contro i mulini a vento». Sei attratto da Hollywood come tanti altri tuoi colleghi messicani? «Non tutti vogliono andare a Hollywood. Mi hanno contattato appena ho vinto nel 2011 il premio per il corto della scuola di cinema El Ojo en la nuca. Ma noi godiamo di una indipendenza creativa, ci siamo trasformati in produttori, lavoriamo tra soci, non abbiamo capi. Non so se vale la pena perdere questa indipendenza.»