È come quando si scruta il cielo in attesa del primo spicchio di luna per cominciare il Ramadan. Bastano dieci testimoni, mi aveva detto un mullah, quando ero in Iraq.
E poi il Ramadan è cominciato in tre giorni diversi: uno per i sunniti, l’altro per gli sciiti e l’altro ancora per i kurdi.

Così mi sembra il giudizio sull’«apertura» della partecipazione alle elezioni municipali delle donne saudite. Quel che è certo è che per l’altra metà del cielo saudita la mezzaluna è ancora lontana.

Lo scrutinio continua, ma secondo i primi dati dovrebbero essere una ventina le donne elette (su circa 2.500), speriamo di più. Il «voto alle donne» si fa per dire, era stato annunciato dal defunto re Abdallah nel 2011, insieme ad altre misure che dovevano servire ad arginare il malcontento generale. Le donne, nelle elezioni del 12 dicembre, potevano votare ed essere votate. Per votare occorreva essere iscritte alle liste elettorali, dove sono risultate 130.000 contro i 1.350.000 maschi. Le candidate erano 979 contro i 5938 maschi.

Per chi osserva dall’esterno c’è innanzitutto una prima grande novità: quella di aver visto in viso le donne – alcune – che votavano. Per una volta i veli neri hanno scoperto dei volti sorridenti di chi spera che un piccolo gesto posta trasformarsi in una «rivoluzione».

Importante sarà vedere come le saudite sapranno approfittare di piccoli spiragli per aprirsi un varco. E non sarà facile in un regime teocratico di stampo wahabita dove, oltre ai rampolli del regno, contano i religiosi. E il gran mufti dell’Arabia saudita, la massima autorità religiosa, ha emesso un editto contro la partecipazione delle donne al voto.
Un recente sondaggio del centro studi Esbar indicava che il 72,5 per cento dei sauditi è contro la candidatura di donne, l’11,3 la sopporta e l’8,7 l’accetta.

Queste riserve erano ben esplicitate nei condizionamenti posti alle donne sia per votare che per essere votate. Innanzitutto molte candidature di donne sono state escluse dal ministero degli interni senza giustificazioni e senza possibilità di ricorso. Tra di loro anche intellettuali e scrittrici famose.

Durante la campagna elettorale le candidate non potevano mostrare il viso e non potevano rivolgersi ai maschi, quasi tutta la propaganda è passata attraverso i social network, per fortuna l’Arabia saudita è il paese con il maggior numero di smartphone pro capite al mondo.

Per poter votare le donne dovevano avere una carta di identità, mentre – spiegava tra l’altro Hala Aldosari, un’attivista per i diritti delle donne, su al Jazeera – le donne usano di solito la carta di famiglia del loro guardiano per essere identificate. Poi c’era la richiesta di una convalida della residenza da parte delle autorità distrettuali, che non erano informate del procedimento o erano assenti.

Naturalmente dovevano essere accompagnate dal loro guardiano, anche perché non possono guidare la macchina.

Andare a votare era quindi una bella sfida, una delle tante che devono affrontare ogni giorno per sopravvivere in un paese che vanta il primato per la violazione dei diritti delle donne.