Con le sue geometrie e la sua aura magica Torino confonde e seduce. E lo fa anche in questo lungo limbo del dopo Fiat, che dura ormai da troppo tempo e le ha fatto smarrire identità e vocazione. Difficile scovarne le verità e altrettanto arduo immaginarne il futuro. Ma questo, a pochi giorni dal voto, è il momento in cui se ne torna a parlare. «Bellissima», «forte e unita», «altra», «sana e giusta», «solidale» o «trasformata». Sono aggettivi che evocano e non troppo entusiasmano. Il Po, intanto, boccheggia: l’acqua è al minimo. Ed è uno degli effetti dei cambiamenti climatici su cui la campagna elettorale in corso si deve interrogare. Però non è l’argomento che la anima maggiormente: il tema che più appassiona è il ballottaggio, nonostante si debba ancora svolgere il primo turno del 3 e 4 ottobre.

GLI ULTIMI SONDAGGI, da prendere ovviamente con le pinze, dicono che si sfideranno Paolo Damilano, imprenditore del vino e dell’acqua, volto presentabile del centrodestra a guida Salvini-Meloni, e Stefano Lo Russo, candidato del centrosinistra, docente al Politecnico, capogruppo uscente del Pd, vincitore dalle primarie di coalizione. Se il primo viene dato in testa al primo turno con un ipotetico 42%, Lo Russo (dato intorno al 40%) lo supererebbe di poco al ballottaggio, con circa il 52% delle preferenze. Ago della bilancia il M5S di Valentina Sganga, 35enne capogruppo dei pentastellati in consiglio comunale, che ha raccolto il sostegno dei Verdi e quotata al 9%. Ma, dopo il fallito tentativo di alleanza giallorossa spinto dall’ex premier Conte, non si prevedono apparentamenti o indicazioni tra le due forze. C’è, però, un atteggiamento diverso all’interno del M5S: il gelo della sindaca uscente Chiara Appendino, defilata nella corsa elettorale, nei confronti di Lo Russo, arcinemico sui banchi della Sala Rossa, e l’apertura di Sganga, che ha dichiarato: «Mai con la destra».

LE INCERTEZZE SONO palpabili sia sull’astensione, in aumento, sia su come voteranno le periferie, protagoniste in meno di vent’anni di un mutamento della geografia elettorale, in quanto passate dal centrosinistra ai 5S (il terremoto del 2016 che doveva, almeno nei piani, sovvertire il Sistema Torino) e ultimamente al centrodestra (o destra tout court), che in queste zone agita i nervi più scoperti. Parliamo, per esempio, della più multietnica Barriera di Milano, a Nord, e della più anziana Mirafiori, a Sud. Mentre i dem ridisegnavano il loro fortino tra il centro e la collina. Senza dimenticare la zona Ovest (da Borgo San Paolo a Parella), dove la sfida è incerta e forse oggi ancor più decisiva. Una cosa è certa: il prossimo sindaco, dopo anni di austerity (e di debito), avrà da amministrare i sostanziosi fondi del Pnrr e dovrà mettere le basi alla Torino del futuro.

LA CITTÀ DELLA MOLE ha enormi competenze da valorizzare, più che inseguire modelli esterni o mega eventi, e grandi problemi aperti. Torino è una città diventata più piccola e più vecchia (gli over 65 sono il 25% della popolazione), con un’aspettativa di vita tra le migliori delle metropoli italiane ma non omogenea nel territorio: se a Barriera è 75-77 anni a Borgo Po è oltre gli 81,5. Sono cresciute le diseguaglianze, acuite dalla crisi pandemica, e il ceto medio si assottiglia. Non è più la città fordista di un tempo, però, nonostante l’aumento del peso del terziario, il manifatturiero resta relativamente centrale, seppur il disimpegno progressivo della Fiat (poi Fca, ora Stellantis) pesi sull’innovazione tecnologica ed economica. E quindi sul futuro di Torino. Fallita, con l’evaporare dell’illusione olimpica, l’idea di trasformarla in una città turistica, la metropoli subalpina dovrà confrontarsi con il ritorno alla manifattura, ma di nuova generazione, la cosiddetta industria 4.0.

NEL PRIMO CONFRONTO tra i principali candidati, promosso dalla Stampa, sono emersi i temi distintivi di ciascuno. Per Sganga, continuare il risanamento del bilancio iniziato dall’attuale giunta, intervenire sulla cattiva qualità dell’aria con mobilità sostenibile e riforestazione e ridurre le diseguaglianze. Damilano guida una coalizione dove oltre a Lega (il suo primo sponsor con il ministro Giorgetti), Fi e Fdi compaiono il Popolo della famiglia e la lista centrista Progresso Torino, che raggruppa reduci dal movimento delle «madamine» Sì Tav, pezzi di Azione, Italia viva ed ex Pd e vuole rosicare il voto moderato a Lo Russo. Lavoro, casa e sicurezza sono i punti di Damilano, senza una particolare declinazione.

IL CANDIDATO del centrosinistra sottolinea tre questioni: recuperare la dimensione di capitale del lavoro, ridurre le diseguaglianze partendo dall’accesso alla mobilità che penalizza le periferie, intervenire sul calo demografico. Lo Russo, Pd di provenienza Margherita, con un passato di simpatie renziane, ha l’appoggio anche della Lista Tresso, dei Moderati, di Art.1 e di Sinistra ecologista, l’aggregazione nata mesi fa da Sinistra italiana, Possibile e attivisti civici, che è riuscita a formare una lista «della giustizia sociale e climatica» con molti under 40, impegnati in movimenti ambientalisti e lgbt, che non vuol essere un cartello elettorale ma «un punto di riferimento per una riattivazione della partecipazione sociale».

VUOLE RECITARE un ruolo da protagonista anche lo storico Angelo d’Orsi, che guida gramscianamente una coalizione di sinistra con, tra gli altri, Prc, Potere al Popolo, Dema, Sinistra anticapitalista. Ha scelto di candidarsi a sindaco per «ricucire gli elementi sparsi a sinistra». E sta facendo incetta di endorsement: Ken Loach (che a Torino sostenne la mobilitazione dei precari del Museo del cinema), Alessandro Barbero, Ascanio Celestini e Bruno Segre, avvocato e partigiano torinese che ha appena compiuto 103 anni. In campo con la lista Futura il giurista Ugo Mattei, impegnato in una strenua lotta al green pass. Il Partito comunista candida Greta Giusy Di Cristina, insegnante.