]C’è da restare senza parole nel leggere l’emendamento al cosiddetto decreto del Fare approvato lo scorso mese dal parlamento. Il testo del governo Letta era chiaro: si imponeva alla società Metro C, contraente dell’appalto, «la messa in esercizio» del tratto periferico compreso tra Centocelle e il capolinea previsto ai confini del comune di Roma in località Pantano. Questa era anche la clausola per ottenere i finanziamenti per la realizzazione del tratto compreso tra Colosseo e piazza Venezia. Una condizione normale e doverosa, considerato che l’impresa ha oltre due anni di ritardo nella consegna del tratto in questione.

Il governo era anche a conoscenza dell’immenso buco nero in cui versa la realizzazione dell’opera. Il 30 dicembre 2011 la Corte dei Conti con la nota deliberazione n.21 aveva scoperchiato l’intera vicenda. I due magistrati contabili Bucarelli e Mezzera elencarono in maniera sistematica tutte le carenze, gli sprechi di denaro pubblico, i ritardi inaccettabili con cui l’opera era stata portata avanti. La lettura del corposo documento è molto istruttiva: si può leggere ad esempio che i lavori della tratta Centocelle-Pantano «sono stati portati a termine nel 2006, con notevolissimi ritardi sui tempi programmati, come già rilevato dalla Corte (pag. 93)». O ancora: «L’inadeguatezza e i ripensamenti progettuali uniti all’incertezza dei finanziamenti e all’assenza di una strategica visione d’insieme rendono impietoso il confronto con i tempi assai rapidi di progettazione e esecuzione di altre linee metropolitane europee (pag. 3)».

Il governo, dunque, non poteva ignorare lo stato delle cose e aveva almeno imposto l’apertura del tratto periferico della metropolitana. Anche il parlamento conosceva la vicenda essendo la Corte dei Conti intervenuta nelle sedute della commissione parlamentare ed essendo tra i destinatari del documento contabile. Eppure, una mano caritatevole è corsa in aiuto della società Metro C e la condizione per ottenere i nuovi finanziamenti è stata prorogata dal 31 ottobre al 15 dicembre 2013. Inezie, si dirà, e in effetti un mese e mezzo sono nulla in confronto a due anni e mezzo di ritardo fin qui accumulati. Ma non sta lì il capolavoro: sta nel mutamento della condizione: il 15 dicembre la metropolitana “C” non entrerà «in esercizio» come prescriveva il governo, ma in «pre-esercizio». Si inizierà cioè a metterla in efficienza e nessuno sa, poiché non viene specificato il termine, quanto durerà questa condizione di limbo. Nel frattempo la città è un immenso ingorgo e non scatterà nessuna penale a carico delle imprese. Un prezioso aiuto alle 5 società contraenti della Metro C scpa, società di progetto formata da Astaldi, Vianini lavori, Ansaldo Sts, Cmb di Carpi e il Consorzio di cooperative Ccc. che stanno costruendo la grande incompiuta insieme a 2400 società subappaltanti.

E’ notizia di due giorni fa che il dramma degli oltre duemila lavoratori impegnati nella costruzione dell’opera sembra per il momento risolto. I pagamenti sono stati sbloccati. Ne siamo lieti per tutti coloro che non percepivano lo stipendio da alcuni mesi. Resta però da fare il passo decisivo: prendere atto del clamoroso fallimento di tutta l’impalcatura con cui sono stati realizzati i lavori pubblici negli ultimi venti anni. L’alta velocità ferroviaria ci è costata oltre 51 miliardi. Il Mose di Venezia 5 miliardi ed è annegato negli scandali. Per la realizzazione della metro “C” spenderemo oltre 5 miliardi (ne erano previsti 2) mentre alcune imprese subappaltanti hanno problemi di contiguità con la mafia.

Insomma c’è da dichiarare conclusa la fase degli affidamenti a scatola chiusa, a general contractor e quant’altro, e aprire una pagina nuova nell’interesse dell’Italia. Ed è questa la questione più grave: il parlamento non sembra cogliere l’urgenza del cambiamento e si accontenta di approvare emendamenti che perpetuano la situazione intollerabile che ha vuotato le casse dello Stato.