Crolla il muro di Berlino, un titolo di questo genero sarà apparso sui giornali almeno una decina di volte nelle ultime settimane. Era una metafora, a commento del terremoto popolare e statale che ha scosso dalle fondamenta la Germania dell’est. E in verità questa metafora la si sarebbe potuta usare, profeticamente, a commento dei molti terremoti che hanno scosso, con Gorbaciov, l’Urss e il socialismo reale un anno dopo l’altro. Giacché il muro, figlio deforme e odiosissimo del blocco di Berlino del 1948, era ormai solo il simbolo residuale della guerra fredda e della statica contrapposizione militare dei due blocchi.

Ma un evento reale è ben diverso da una metafora, e ha lasciato tutti senza fiato, ad eccezione dei berlinesi, pieni di felicità od anche di orgoglio, perché la spallata risolutiva è stata loro. Senza fiato e sconcertati, gli americani o i dirigenti tedesco occidentali e i commentatori europei e italiani in genere, per non dire glaciali. Come se, almeno nell’immediato, fossero presi di contropiede, e si sentissero un po’ come Napoleone di fronte all’incendio di Mosca. Di sicuro non si aspettavano un atto così repentino e audace, ancorché forzato, da parte di un governo orientale che fino al giorno prima sembrava non esistere più. Di sicuro sgrideranno i loro ambasciatori, por aver sottovalutato l’incontro Krenz-Gorbaciov dove evidentemente è stata concordata una simile mossa.

E di sicuro, quel che più importa, si interrogano ora su quale sia e sarà la realtà sociale e politica di una Berlino rimescolata, dei diciassette milioni di tedeschi che restano all’est, e di una Germania per nulla unificata ma intercomunicante e contaminata dall’esodo. Per non dire dei problemi enormi che rimbalzano sulla comunità europea.

È caduto ieri anche un altro muro metaforico in Bulgaria, ed è presumibile che la stessa cosa accada presto in Cecoslovacchia. La stessa cosa per modo di dire: perché quelli dell’est (una riscoperta anche per noi) non sono solo regimi artificiali ma paesi che ritrovano una loro storia e tradizione, non riducibili a protettorati dell’ovest dopo esserlo stati dell’est. Ora che la propaganda serve a poco, poiché la democratizzazione all’est è una realtà che avanza drammaticamente, l’occidente dovrà fare i conti con questa complessità, non facilmente assimilabile ai modelli occidentali.

Il guaio è che la sinistra, l’eurosinistra così spesso invocata ma così poco consapevole di sé, non sta facendo neppure essa i conti con questo terremoto, e giunge a questi appuntamenti debole e impreparata. Non c’è l’ombra di un movimento per il disarmo, in Europa, e l’Italia si rapporta alla Nato esattamente come dieci o quaranta anni fa. Mentre il mondo è in ebollizione, e può saltare in aria più facilmente oggi di ieri, ci crogioliamo nel nostro sviluppo e lasciamo credere che il sistema occidentale, il mercato capitalistico mondiale e la democrazia universale procederanno benignamente insieme.

*l’editoriale pubblicato sul manifesto dell’11 novembre 1989