Già dopo averne letto le prime pagine risulterà chiaro che Cyclonopedia. Complicità con materiali anonimi (Luiss University Press, impeccabile traduzione di Virginio Sala, pp. 315, euro 28) di Reza Negarestani funziona come la tana del Bianconiglio, ossia come una singolarità che ci proietta in un luogo in cui la fisica e la storia, la cosmogonia e la metafisica delle nostre contrade sono del tutto inservibili.

Negarestani de/scrive un «sistema» il cui trascendentale è il complesso ()hole («una totalità degenerata»), il cui soggetto è la petropolitica (narrazione in cui si incrociano tecnocapitalismo occidentale e mistica islamica) e il cui lessico è una negromantica Scrittura Nascosta, in cui icone, indici e simboli si mescolano alchemicamente in un aleph occulto da cui osservare, secondo prospettive acefale, il deserto e la polvere, i contagi e i flagelli, la contaminazione e il decadimento che trapassano un mondo divenuto ormai incomprensibile.

MA ANDIAMO CON ORDINE – se questo ha ancora un senso. Negarestani, autore di culto per i primi nativi digitali, misteriosamente emerso dalle ceneri della Ccru, pubblica Cyclonopedia nel 2008, nel corso di una guerra trasformatasi in un’entità spettrale e autonoma, in una «guerra-come-macchina» che «sfugge a tutti i discorsi che istituzionalizzano» per dissimularne «l’oscurità radicale». Per Negarestani, liberatosi sia del presunto correlazionismo tra pensiero e realtà sia della grande barriera che separerebbe l’umano da tutto il resto, il noumeno kantiano ha assunto le fattezze informi del Reale lacaniano: «l’Esterno» è dentro di me e il cielo stellato è inesorabilmente oscurato dal bagliore di un sole «marcio» che sta sotto di me, nelle viscere del pianeta, sotto forma di petrolio.

Per questo, come sottolinea giustamente Maffettone nell’introduzione, Negarestani si muove verso una «nuova metafisica», verso quello che, per parafrasare Derrida a proposito di Bataille, potremmo chiamare un «hegelismo senza riserve», un hegelismo teratologico la cui sintesi è ciclica e interminabile – non a caso, Hegel occupa un posto centrale nel suo Intelligence and Spirit del 2018. Tuttavia, a differenza di Bataille, che si inabissa nel laceramento del negativo, Negarestani lacera l’Uno con il negativo, senza però dissolverlo, come il «postmodernismo» ha cercato di fare.

QUESTO HEGELISMO insonne e perturbante attraversa tutto il libro – anche se oscurato, per accecamento, dal rizoma che ne ricopre la superficie – ed è massimamente percepibile nel «complesso ()hole», che tanto ricorda il Cèd’luno di Lacan, altro hegeliano anomalo. ()hole indica infatti una totalità (Whole) bucata (hole), in cui pieno e vuoto sono intimamente e inestricabilmente intrecciati: «Nel complesso ()hole, a un livello superficiale, ogni attività del pieno appare come una tattica per occultare il vuoto e appropriarsene. Ma a un livello composizionale profondo, tutte le attività del pieno sono orientate verso la creazione di nuove funzioni svuotanti, che alla fine es-terrano il pieno senza cancellarlo».

È a partire da questa sintesi hauntologica che si snoda il rizoma-Negarestani lungo tutti i suoi tentacoli lussureggianti e malati, in cui non è mai possibile smarcarsi dall’ambiguo «doppiogiochismo» dell’esistente, che raggiunge il suo acme nel petrolio («il cadavere nero del sole» che funge da sineddoche dell’Esterno in/umano), composto xenochimico di «capitalismo solare» e «rimescolamento ctonio», che assume un’agency piena (di vuoto) e «racconta la dinamica della Terra», di cui solo una scrittura iniziatica può tentare di restituirne l’inquieta fenomenologia degli spiriti che la infesta.

NON È CERTO piacevole essere agiti dall’Esterno né comprendere che «la persistenza della vita non appartiene intrinsecamente all’essere vivente». E, tuttavia, «sarebbe un’ingenuità assoluta pensare che la speranza sia proprietà esclusiva degli umani». Lo spirito del mondo è un nuovo popolo di streghe a cavallo di un oleodotto.