Una giornata con Tonino De Bernardi. Forse a molti il nome dice poco perché a meno che non si frequentino i festival (quello di Torino nelle sue sezioni parallele in testa, la città di Tonino De Bernardi, anche se poi lui è nato a Chivasso), o non si rimane svegli nelle maratone notturne su Rai3 di Fuori orario, vedere i film di Tonino De Bernardi non è impresa facile. Per carità, nessuna lamentela, però è vero che da noi, forse più che altrove, il cinema «eccentrico» – traduzione: di ricerca, meno formattabile, non riconducibile a un unico canone, underground non fossilizzato – non trova spazio né visibilità. È un dato di fatto, possiamo discuterne, come possiamo anche riflettere che pure nel «giro» degli addetti ai lavori, circuiti festivalieri di tendenza e simili, le cose cambiano in fretta, e ci si adegua sempre di più all’«aria dei tempi«. Una specie di moda di autori che vanno o non vanno – tipo il listino delle borse – e capita così che se si diventa inattuali si sparisce pure da lì – anche per questo mi viene da dire «evviva l’inattualità».
Di cinema italiano come questo invece ce ne è molto, è forte, salta tra diverse generazioni, potrebbe riposizionare l’immaginario appannato, però rimane oscuro – e certo non è a questo che si pensa nella retorica oscarizzata di «adesso-sosteniamo-il-cinema-italiano». Peccato. Però ogni tanto si aprono squarci, e capita che un artista austriaco, Peter Friedl, organizzi a Roma una maratona con Tonino De Bernardi – al Filmstudio di Via Orti D’Alibert, domenica dalle 15.30 fino a notte all’interno di «Touch of Joy- Esercizi di immaginazione», una rassegna sostenuta dall’Istituto svizzero nella capitale.
Tutto questo è anche un ritorno, perché al Filmstudio Tonino De Bernardi era arrivato nel ’68, presentando Il vaso etrusco (’67), a Il sogno di Costantino (’68) che si vedranno anche domani. Racconta: «È stato lì che ho conosciuto Massimo Bacigalupo (un altro regista del cinema underground, ndr), era giovanissimo, un piccolo genio mentre io ero ’ritardato’, nel senso che ho fatto tutto sempre in ritardo. E poi Adamo Vergine, e Pia Epremian, che è venuta da me a Torino, e tra loro è nato un amore». Così Tonino ha invitato anche Pia Epremian coi suoi film – si vedranno i rari Doppio Suicidio (1969), Dissolvimento (1970); A Patrizia, (1968-70). Di De Bernardi il programma presenta anche Uccelli di terra (1993), Elettra (1987) Libera vita (2010). E Butterfly. L’attesa (2010), un capolavoro di vita resa cinema, come catturare nella «finzione« della macchina da presa i momenti impalpabili del vissuto, gli impercettibili ondeggiamenti del sentimento, e quelli del corpo, gli scarti dei gesti nel quotidiano. Le storie che non appaiono tali, e quelle improvvise epifanie che solo un occhio allenato e sensibile nel corpo a corpo con la realtà – tutta non solo documentaria, la realtà del set dentro e fuori, e di un lavoro in progress che riguarda la poetica dell’esistenza – mettono in gioco. Si potrà parlare con Tonino, e con Pia, e con i molti amici, a volte anche attori nei film di de Bernardi che capiteranno nel corso della giornata. E incontrarlo, ascoltarlo parlare di cinema, del suo cinema, è sempre speciale. Perché nonostante l’indipendenza faticosa, magari non sempre voluta, lui non si ferma mai. Fare film è come vivere per me ripete spesso. Difatti. Sarà questa sua energia che ha conquistato attori come Isabelle Huppert, protagonista di Medee Miracle girato qualche anno fa a Parigi. E molti altri, recentemente Joana Preiss, attrice e regista francese sperimentale che ha girato con lui.
C’è una musicalità rara nei film di Tonino De Bernardi, il suono della vita che somiglia a una fiaba, senza retorica né sentimentalismi, reso piuttosto cinema con irriverenza e giocosità. Filmare e cambiare la prospettiva dello sguardo è stare accanto a figli e nipoti e amici, e con loro rivisitare i miti – nel progetto dei film corsari curato da Giovanni Maderna, un altro regista italiano dallo sguardo fuoriclasse, l’episodio con cui Tonino rilegge Salgari insieme ai nipotini è un capolavoro di teatro e di immediatezza, di training narrativo e di verità.
Racconta ancora: « Tornare al Filmstudio è una cosa che mi emoziona tantissimo. Lo so, non è più il Filmstudio di allora ma tutta questa cosa del passato che ritorna in questo presente che è così diverso mi piace. Io allopra insegnavo al nord e appena avevo il giorno libero da scuola correvo a Roma a incontrare quelli della cooperativa che erano lì».