Una esperta di diritti dei bambini analizza in un incontro pubblico con degli studenti le differenze agghiaccianti tra l’essere bambino israeliano e palestinese. Secondo la legislatura israeliana, che vige ed è soggetta a cambiamenti secondo lo stato di emergenza, una bambina palestinese colta in flagranza di reato a 14 anni, al processo verrà trattata come una israeliana di 18. La responsabilità criminale per i minori e la gestione legale di essa differisce totalmente nel corso processuale: un sistema giudiziario civile per i cittadini israeliani e uno militare per i palestinesi dei territori occupati.

DURANTE la conferenza l’esperta comincia ad annusarsi, a digredire verso sensazioni e ricordi personali, mentre procede sottolineando le istanze politiche fino ad ansimare per un bizzarro brivido che non riesce a controllare. Continua ad analizzare le differenze legali e le implicazioni minorili e a verbalizzare quello che le sta succedendo. Due studenti si carezzano e si baciano mentre ascoltano. Infine l’esperta espande l’idea di Kwame, giovane africano che evoca come audience di riferimento, immagina un incontro con lui, la vicinanza di un corpo africano erotizzato ed esotizzato al massimo la porta al climax della conferenza. In Explaining the Law to Kwame Roee Rosen, nel concorso internazionale del FidMarseille, inquadra la distanza da ogni sensualità che spesso si produce nei discorsi critici in pubblico, nelle conferenze e nelle lecture ad alto tasso analitico, in nome di una piatta ed efficace professionalità. Il personaggio femminile interpretato dalla brava Hani Furstenberg, devia totalmente dal suo obiettivo performativo nella direzione più opposta possibile giocando con la nozione di voyeurismo e dei cliché del piacere femminile. Un’aspra e divertente critica allo stato dell’arte delle conferenze e delle lectures accademiche che mette al contempo sotto accusa una delle gravi infrazioni umanitarie del governo israeliano. Il film è parte di un progetto più esteso su una serie tv per bambini dedicata a Kafka.

Sempre sensualità e corpi quasi sciolti nella natura sono protagonisti di The Cypress Dance dei portoghesi Mariana Caló e Francisco Queimadela. Stelle marine, alghe e molluschi nelle acque limitrofe di una laguna dentro cui s’immagina vivano degli spiriti, vengono indagati da delle dita. Una giovane donna, Mariana Barrote, disegna con il carboncino posizioni erotiche su delle pietre. Primissimi piani in pieno giorno di insetti su fiori e campi di grano e corpi nudi in effetto notte su prati oscillano mentre la musica d’ispirazione barocca di Eyvind Kang e Jessica Kenney inneggia ad Orfeo. La vita minerale si annoda a quella umana, la flora in primo piano conquista l’antropocene.

ALBERT GARCIA-ALZÓRRIZ affronta con il suo Eyes/Eyes/Eyes/Eyes il destino delle statue destituite e dei frammenti di pietra con cui vengono classificate. In un immaginario archivio futuro due conservatrici sono le uniche presenze umane in un interno in bianco e nero dove tra visioni, classificazioni e movimenti impercettibili ci si muove in claustrofobia. Fotografie di statue destituite accompagnano la classificazione, la parata di figure di potere del secolo scorso è quasi tutta presente. Il film nasce da un progetto artistico commissionato per indagare l’iconoclastia, la sopravvivenza di statuarie e la distruzione di immagini monumentali ed è accompagnato da un testo di Kafka sul mito di Prometeo.

QUESTI TRE FILM, che hanno una durata tra i 23 e i 37 minuti sono presenti nel concorso internazionale insieme ai lungometraggi, perché sostenuti da un’idea di cinema libero e non incastrato in durate, definizioni e palinsesti preordinati. Un’attitudine verso il cinema che rompe le classiche gerarchie delle selezioni festivaliere. Una scelta quindi di politica e culturale al miglior passo con i tempi, i movimenti e i soggetti che si occupano di rimettere al centro il genere, la sessualità, il linguaggio, l’ambiente in cui viviamo, la rappresentazione pubblica e le gerarchie da rivedere ed abbattere con l’impegno e la meraviglia.