Alla James-Simon-Galerie – discussa promenade architecturale di David Chipperfield nella Museumsinsel – la mostra Nah am Leben (Vicino alla vita), fino all’1 marzo, celebra il duecentesimo anniversario della Gipsformerei: la più grande istituzione di formatura di calchi esistente al mondo e il più antico museo statale della capitale tedesca.
Voluto da Friedrich Wilhelm III per scopi didattici e filantropici, il laboratorio deve la sua fortuna allo scultore Christian Daniel Rauch (1777-1857), che seppe organizzare un gruppo di artigiani capaci di competere con le riproduzioni di Parigi e di Bruxelles, ma soprattutto italiane. Tra questi vi era il gessista Domenico Bianconi, giunto nella capitale prussiana da Carrara e per ventotto anni impegnato in ogni genere di calco, calchi che costituiranno il primo nucleo della collezione oggi formata da oltre diciassettemila stampi e settemila oggetti d’arte.
L’impiego del gesso per realizzare calchi è una tecnica antica, contraddistinta dal contatto fisico diretto dello stucco con il corpo vivente, i cui «indicatori della vita», come scrive Veronika Tocha in catalogo (Prestel), sono documentati fedelmente sulla superficie dello stampo (negativo). Dai bronzi del periodo classico greco ai calchi in resina sintetica dell’iperrealismo americano, la storia della scultura si può leggere come la preoccupazione di rappresentare la vita «reale», in altre parole il desiderio a oggettivare l’altro da sé in maniera quanto più esatta e fedele.
Questo processo ha in mostra il suo «punto di partenza ideale» nel gruppo scultoreo Untitled (1977) dell’artista statunitense John De Andrea. Due figure in resina rappresentano una donna nuda seduta, rilassata su una sedia, con dietro l’artista nei suoi abiti da lavoro macchiati e il secchio pieno di gesso pronto per coprire il corpo della modella. Il soggetto del doppio ritratto è il momento sospeso e autoriflessivo dell’attesa del processo che deve restituire in calco la figura vivente, la cui pelle è la «superficie in cui la vita lascia tracce e impronte» e che solo il gesso può proteggere e rendere visibili.
Severe reprimende dei critici
La modellatura di un materiale che nel modo più perfetto possibile sia in grado di restituire in tre dimensioni un oggetto o un corpo è il racconto di una quantità infinita di copie e simulacri, collegato, soprattutto in età moderna, alle severe reprimende di critici nei confronti dell’onnipresenza dei calchi nella pratica degli scultori.
Distribuiti in cinque sezioni, i duecento oggetti esposti illustrano il ruolo centrale che questa tecnica ha avuto nell’imitazione della natura.
In particolare nella sezione «Still life e nature morte» sono «immobilizzati» gli animali dei sussidi didattici del Kunstgewerbemuseum eseguiti intorno al 1892: un coccodrillo, teste di capra, di pantera, di lupo e di cinghiale, con un pelo reso così somigliante che è difficile ottenerlo con la scansione digitale.
Il mondo animale attrasse scultori come Josef Pallenberg (1882-1946), che utilizzò ogni carcassa dello zoo di Berlino per farne calchi, e il più famoso e esotico Fritz Behn (1878-1970), che modellò nel suo studio di Monaco un gran numero di bestie feroci da lui uccise nella colonia tedesca dell’Africa orientale.
In mostra le tavole che illustrano i modelli in gesso del suo «Haizuru… Ein Bildhauer in Afrika» (1917) sono il racconto di come si manifestò nell’arte moderna l’esotismo di un «artista coloniale».
Accanto a questi modelli si possono ammirare quelli del XVI secolo: i crostacei o le tartarughe tirate in bronzo da Andrea Briosco detto il Riccio o i rettili e pesci in rilievo nei vassoi «rustici» del ceramista Bernard Palissy.
Tuttavia è nelle copie per gli studi botanici che il contributo tedesco si rivela importante. Quelle delle piante in metallo galvanizzato del maestro Moritz Meurer (1839-1916), fotografate da Karl Blossfeldt, testimoniano dell’impegno della Scuola di arti applicate berlinese di riformare la fabbricazione degli oggetti allo scopo di disporre di migliori strumenti didattici per insegnare le leggi delle forme vegetali e le loro proprietà estetiche.
Però è nell’autenticità di farci sentire «così vicini alla vita» umana che le tecniche del calco donarono all’arte l’assoluta capacità di meravigliare e sedurre. Si è così di fronte alla questione, che già Plinio il Vecchio descrisse nella sua Naturalis Historia, della «somiglianza» o dell’imago: essa non ha alcun riferimento né con la pittura né con alcun genere artistico inteso nel senso abituale, ma rimanda a quell’archivio genealogico, familiare, giuridico e rituale costituito dalla produzione di stampi in cera che nell’antichità romana permettevano di duplicare con esattezza una persona.
È attraverso questa tecnica, infatti, che l’imago precede l’intera storia della ritrattistica con i suoi caratteri di artisticità. La durata della nozione pliniana di «ritratto» per contatto diretto è come se fosse sempre sopravvissuta nella modellazione in gesso fino all’età moderna: la sola forma garante della legittima somiglianza del soggetto. Con altre motivazioni si ritrova, ad esempio, nelle pratiche dell’antropologia dell’inizio del secolo scorso, intenta a ridurre l’umanità a caratteristiche morfologiche che in seguito costituiranno la base per la nomenclatura «razziale».
La collezione della Gipsformerei trova inoltre le sue corrispondenze nella didattica artistica e scientifica: copie tridimensionali di corpi umani viventi o solo parti di essi, come torsi, mani, braccia, gambe, e altro ancora.
«Atelierwand» di Adolf Menzel
Diverse discipline necessitavano dei calchi, come si desume dai modelli anatomici appesi al muro nel quadro Atelierwand (1872) di Adolf Menzel o si può comprendere dai cataloghi di vendita degli oggetti didattici editi dal 1890 dal Kunstgewerbemuseum.
Dopo avere girato tra i calchi di chi perse la vita nell’eruzione del Vesuvio a Pompei, tra le maschere mortuarie di musicisti, sovrani o poeti, e dopo avere sostato dentro il recinto di scaffali zeppi di modelli e matrici di ogni periodo e genere che mostrano lo stato abituale in cui sono conservati, la domanda che ci si pone è: quale valore artistico assegnare alla tecnica della modellazione in stucco?
Per Vasari il calco era intollerabile, e da allora la storiografia dell’arte è influenzata dal suo giudizio. La sua esecuzione non può essere considerata un’imitazione poiché non richiede una particolare idea o magia artistica. Non si tratta dell’«imitazione ottica a distanza», che al contrario esige una raffinata perizia – ciò che ancora Plinio chiamerà luxuria – e che dal Rinascimento costituirà la tradizione umanistica della riproduzione (artistica) della realtà.
Come ricorda Georges Didi-Huberman (Devant le temps, 2000), nel nostro caso gli oggetti che abbiamo davanti riguardano una diversa concezione della Storia. Lo storico che se ne interessa è un «collezionista di oggetti che passano per inutili», in grado di ricercare «nuove soglie teoriche» nell’arte che non potrà che essere «immaginativa e archeologica», accogliendo quindi il passato come un «fatto di memoria», composto di qualità psichiche e materiali, al modo in cui lo intesero Benjamin, Warburg o Deleuze.
In questo senso la mostra berlinese intreccia una pluralità di eventi in una produzione sterminata di oggetti. Questi sfidano un numero consistente di discorsi invitandoci a seguire sentieri che accostano discipline eterogenee e a considerare sempre molteplice, dinamica e dialettica l’eredità della Storia.