È una storia che inizia intorno ad un piatto di kebab di pollo, yogurt e frutta a Eriha, una città del nord della Siria assediata dalle unità militari fedeli al dittatore Bashar al Assad. Siamo nel 2012 ed è nella casa di un giovane oculista che partecipa al tentativo di rivoluzione contro il regime che Lorenzo Cremonesi viene accolto, sfamato e messo al riparo dai colpi che cadono senza tregua sul centro urbano. Un uomo e la sua famiglia, bambini piccoli che affollano un paio di stanzette, si adoperano per tenere al sicuro che ha fatto tanta strada per raccontare il loro sogno di libertà.

PERCHÉ LA GUERRA, sembra dire l’inviato del Corriere della Sera, è orrore e distruzione, morte e perdita dell’umanità, ma può anche lasciar affiorare tra le macerie e oltre il fumo degli incendi un ultimo rabbioso sussulto di indignazione, testimonianze di solidarietà e di incontro, qualcosa che mentre ancora infuria la battaglia fa intravedere che un «dopo» per l’essere umano è ancora possibile. A patto che delle ferite inferte e ricevute si conservi memoria e consapevolezza, che l’oblio sia, quando necessario per continuare a vivere, una scelta cosciente.

L’itinerario che Cremonesi percorre in Guerra infinita (Solferino, pp. 550, euro 22) intende riflettere proprio sul rischio che i conflitti vengano invece «rimossi», che del fuoco che cresce ci si preoccupi solo quando ad esserne lambita è la propria casa e non quella di altri, lontani geograficamente o «culturalmente» dal punto di osservazione cui si guarda alla minaccia.

Questa memoria, necessariamente plurale, si intreccia poi con la cognizione che proprio laddove l’umanità sembra bruciare in un inarrestabile falò di odio, uno sforzo di fratellanza può far breccia nell’indifferenza, trasformandosi in un atto concreto, in una scelta che può salvare delle vite, metterne altre al riparo, restituire fosse anche per un solo istante la possibilità di un sorriso a che magari ha perso tutto.

QUARANT’ANNI da inviato sui fronti di guerra, dal Libano all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, dal Kurdistan al conflitto israelo-palestinese e ora, negli ultimi cinque mesi, in Ucraina, Cremonesi è un testimone dei conflitti «asimmetrici», delle tragedie provocate dal terrorismo, di vite celebrate solo all’atto della loro fine, di corpi resi ordigni dalla follia kamikaze. Ma ciò che lo ha spinto a raccogliere in questo volume di una forza e una determinazione rare i diari compilati lungo le linee di combattimento e nelle spesso altrettanto pericolose retrovie, è l’idea che la guerra che oggi percepiamo come «vicina» perché si combatte a due ore d’aereo dalle nostre case, sia in realtà una presenza costante delle nostre vite che abbiamo solo cercato di tenere ben celata.

Perché se è vero che se paragonato alla catena di orrori che ha segnato la prima metà del Novecento, «questo periodo può essere considerato come uno dei più pacifici della storia europea», è altrettanto vero, spiega il reporter nato a Milano nel 1957, che la guerra «ha segnato la formazione della mia generazione» e «persiste incombente alle nostre porte». Avere ben presente come la guerra abbia definito lungamente il nostro orizzonte e come abbia continuato a farlo tutto intorno a noi appare perciò necessario per comprendere quale sia la posta in gioco ad esempio oggi in Ucraina dove, certo tra mille contraddizioni, si dà una drammatica misura del «braccio di ferro sempre più serrato tra Paesi liberi e totalitarismi».

NON A CASO, come scrive nella prefazione a Guerra infinita il politologo francese Gilles Kepel, «il progetto di questo libro era in gestazione anche prima dell’invasione russa dell’Ucraina, ma ovviamente la sua pubblicazione in queste circostanze aiuta a illustrare sia dall’interno sia dall’alto gli eventi drammatici che stiamo vivendo e che minacciano il futuro dell’Europa come l’ha conosciuta la nostra generazione dopo la fine della Seconda guerra mondiale e dopo la caduta dell’Urss».

Riavvolgendo il nastro della memoria fino ai ricordi dell’infanzia, i racconti ascoltati in casa di come i civili russi «a loro rischio e pericolo» salvarono gli stranieri, per altro invasori, inquadrati tra gli Alpini nelle steppe innevate dell’Unione sovietica, Cremonesi ammonisce i lettori quanto alla necessità di ricordare, tema il rischio di «non saper più dare il giusto nome alle cose». Mentre invece, «capire da dove veniamo può aiutarci a ritrovare, con il senso del presente, anche i valori e le passioni che ci possono orientare»